Bebe Vio
Sul sito ufficiale di Beatrice Vio, che però è
universalmente conosciuta come “Bebe”,
è impossibile non notare quella frase tanto
breve quanto incisiva, scritta in bianco
su sfondo blu: “La vita è una figata”.
tratto da IperSoap Magazine n. 1 Gennaio 2021 p. 72
È il suo motto, il modo di affrontare ogni giorno con lo spirito di chi sa di aver visto e attraversato il peggio (amputazione di tutti e quattro gli arti a causa di una meningite che l’ha colpita quando aveva 11 anni) per poi “risorgere” come l’Araba Fenice, sino a guadagnarsi con pieno merito un posto nella storia dello sport (e non solo paralimpico) grazie ad un’impressionante sequenza di risultati. Ed il tempo è ancora tutto dalla sua parte: stiamo infatti parlando di una campionessa assoluta nata in coda al secondo millennio: nel 1997. Quell’insegnamento, “la vita è una figata”, è da ricondurre al papà, straordinariamente capace di trasmettere alla figlia uno straordinario messaggio di positività proprio nel momento per lei più complicato.
Bebe poi ci ha messo molto del suo, con un’infinita forza di volontà tale da farle guadagnare lo status di icona internazionale, al di là di trionfi e medaglie. Eppure, nonostante la sua popolarità sia cresciuta a dismisura, Bebe Vio è rimasta fedele a se stessa, senza cadere nel tranello della presunzione che spesso condiziona chi raggiunge il successo. Sorridente, spontanea e altruista, rappresenta il migliore degli esempi di come con l’impegno ed il sacrificio si possano compiere imprese superiori persino alle proprie aspettative. “Essere speciali significa proprio riuscire a far capire che il tuo punto debole diventa quello di cui vai più fiero”, è un’altra frase di quelle che le appartengono. Ma nel suo caso le parole non rimangono tali, sono seguite da fatti. Bebe Vio, dopo un percorso lungo e complicato, con una permanenza in ospedale di diversi mesi e svariate cicatrici, ha cominciato a riprendere in mano la propria vita, tra scuola e allenamenti di scherma, lo sport che tanto le piaceva. Dal 2010, all’età di 13 anni, è potuta tornare in pedana (sulla sedia a rotelle) grazie a delle specifiche protesi. Ad appena 15 anni è stata scelta come tedofora per i Giochi Paraolimpici di Londra 2012: giovanissima eppure già un modello da prendere a riferimento. Per tutti. La sua scalata al successo sarebbe proseguita, rapida ed inesorabile. Nel 2015 la medaglia d’oro nel fioretto individuale ai Mondiali, preludio al più importante di tutti i trionfi: quello ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, con il titolo individuale ottenuto grazie al successo in finale 13-7 sulla cinese Jingjing. Nella rassegna a cinque cerchi si è messa al collo pure un bronzo nella prova a squadre.
Una è la gara per lei più bella, l’altra invece la più emozionante “perché addirittura non avremmo dovuto neppure qualificarci”. Un anno magico quello, arricchito dall’oro europeo. Già a quel punto le affermazioni a livello italiano giovanile e assoluto si susseguono sin quasi a non fare più notizia.
Ori e vittorie hanno caratterizzato pure il biennio successivo in varie competizioni internazionali. Ed anche nel 2020 Bebe Vio è riuscita a lasciare un segno, con un oro di squadra ed un bronzo individuale nella prima ed unica tappa di coppa del mondo disputata in febbraio, a ridosso dello stop all’attività dovuto all’aggravarsi della crisi sanitaria. Nel mirino ci sono i Giochi di Tokyo, che avrebbero dovuto svolgersi quest’estate ma che proprio a causa della pandemia
sono stati rinviati al 2021. “Le motivazioni dello spostamento sono importanti, alla fine non cambia granché”, ha reagito pur senza nascondere un senso di stranezza, “perché ti alleni per moltissimo tempo e poi tutto viene posticipato di un anno”. Sino a qui il lato sportivo della vita intensissima di Bebe Vio, che da alcuni mesi tiene una rubrica su Sportweek, il settimanale della Gazzetta dello Sport. Alla sua storia è ispirata la nascita dell’associazione Art4Sport, voluta con forza e convinzione dai suoi genitori, Teresa e Ruggero, che nel lontano 2009 si sono attivati per conoscere meglio le realtà delle protesi e degli ausili sportivi per ragazzi con amputazioni. Poiché i costi di quelli per le competizioni agonistiche sono a carico delle famiglie, ecco che ben presto l’associazione è divenuta un punto di riferimento non solo per Bebe ma anche per tutti quei giovani accomunati dalle stesse necessità e dalla smisurata voglia di praticare
l’attività sportiva.
Da qui è nato il progetto “Fly2Tokyo” che ingloba vari campioni paraolimpici di svariate discipline. Ovviamente però il
volto simbolo è lei.
Che stupisce per il modo in cui ogni volta ripassa verbalmente il proprio passato, quello più difficile, affrontato e superato con la consapevolezza che per una che ce l’ha fatta (lei), molti altri al contrario no. “Alla fine io sono stata fortunata e devo ringraziare un’infinità di persone”. Non c’è un filo di autocommiserazione nelle sue parole, al contrario
una trascinante voglia di godersi senza riserve ogni giorno. Una campionessa in pedana e fuori, non a caso scelta dal colosso Netflix per raccontare la storia dei giochi in un docu-film il cui nome, “Rising Phoenix”, è sin troppo eloquente.
La popolarità non l’ha mai influenzata. “A volte mi capita di imbarazzarmi quando le persone mi applaudono”, ammette con la consueta sincerità. Torna alla mente l’episodio del selfie con l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, durante una cena alla Casa Bianca (nel 2016) a cui era stata invitata come atleta in rappresentanza dello sport italiano.
E’ stato un emblema della sua indole a non mollare nonostante le avversità.
Certo, stavolta il contesto era assai più leggero. Per la cronaca, è riuscita nel suo intento. E anche lì, avrà esclamato: “Che figata!”.