Marcell Jacobs
Lo hanno ribattezzato in molti modi: “Figlio del vento”,
“uomo jet”. Perfino Sua Maestà Usain Bolt si è congratulato
con lui. Chissà se un giorno Marcell Jacobs riuscirà davvero
a realizzare quanto fatto quest’estate ai Giochi Olimpici
di Tokyo con quei due ori, nei 100 metri e nella staffetta
4×100, che lo hanno consacrato a re della velocità: una
memorabile pagina di storia non solo per lui e l’atletica,
ma per tutto lo sport azzurro.
tratto da IperSoap PiùMe Magazine n. 10 Ottobre 2021 p. 68, a cura di Gabriele Noli
Anche perché non partiva certo con i favori del pronostico, anzi. Già la prospettiva di vederlo in finale sembrava ottimistica. Ed invece questo ragazzo nato nel settembre del 1994 a El Paso, in Texas, da padre americano e mamma italiana, ha stupito tutti.
Nemmeno lui immaginava che sarebbe tornato da Tokyo addirittura con due medaglie, entrambe d’oro. Oltretutto Jacobs è stato il portabandiera azzurro nella cerimonia di chiusura dei Giochi: una ulteriore gratificazione, che nessuno più di lui meritava. “Non potevo davvero chiedere di meglio.
Vivrò il ricordo di questa esperienza come un qualcosa di magnifico. Mai mi sarei aspettato un’Olimpiade così bella, nemmeno nei sogni”. Sapeva di disporre di un talento enorme, ma spesso in passato non era stato in grado di esprimerlo appieno. “Il primo a credere in me stesso dovevo essere io. E a Tokyo finalmente ce l’ho fatta. Con il mio allenatore, Paolo Camossi, abbiamo compiuto un lungo percorso, nel quale all’inizio si sono susseguite delle batoste, ma poi sono giunte soddisfazioni incredibili.
Era fondamentale sbloccare quel meccanismo interiore per trovare fiducia”, ha raccontato Jacobs per spiegare quali segreti si celassero dietro ai due ori. Perché le capacità fisiche e tecniche, per quanto rimarchevoli, da sole non sarebbero mai state sufficienti. Occorreva lavorare anche (e soprattutto) sulla testa per raggiungere l’eccellenza. Marcell lo ha fatto avvalendosi del supporto della mental coach Nicoletta Romanazzi, che lo segue da circa un anno. Ed i risultati in tal senso sono stati determinanti. Perché ha permesso al campione di tirare fuori tutto ciò che aveva dentro, di liberarsi dai blocchi, compresi quelli emozionali. Uno su tutti, il complicato rapporto con il padre, con cui ha ripreso contatti dopo molto tempo. Anche questo ha contribuito al sensibile miglioramento delle prestazioni di Marcell, pronto per essere focalizzato esclusivamente sull’appuntamento più importante della sua vita sportiva.
E nemmeno l’infortunio occorso a maggio, per fortuna non serio, gli è stato d’ostacolo. Appena pochi giorni prima aveva stabilito il record italiano correndo in 9’’95 e catalizzando su di sé le attenzioni dei media, con un occhio ai Giochi di Tokyo che si sarebbero svolti di lì a un paio di mesi.
Che potesse compiere un’impresa lo si era intuito già dalle batterie, con un poderoso 9’’94 che gli avrebbe permesso di ritoccare ancora il primato nazionale. Ma non gli bastava. Era cosciente che i margini per fare ancora meglio c’erano eccome. In semifinale ha dimostrato che aveva ragione, sfoderando un sensazionale 9’’84 che gli è valso addirittura il record europeo. Pensare ad una medaglia, a quel punto, non sarebbe stato più un azzardo. Ma domenica 1° agosto Marcell Jacobs è andato ben oltre, talmente in trance agonistica da non lasciarsi minimamente influenzare dalla falsa partenza (e la relativa squalifica) di Zharnel Hughes. E, merito di una progressione maiuscola che l’ha portato a correre ad una velocità supersonica, toccando i 43,3 chilometri orari, ha tagliato il traguardo per primo, fermando il crono su un roboante 9’’80.
Record italiano e europeo ancora una volta infranti e gli occhi del mondo su di sé, seppur davanti alla tv, perché a causa dell’emergenza pandemica lo stadio era (tristemente) vuoto senza quel pubblico che sarebbe andato in delirio vedendo dal vivo il capolavoro compiuto da Jacobs. Lui, nella sua mente, la gara l’aveva “visualizzata”, metro dopo metro. Come se un evento immagino equivalesse ad uno realmente vissuto. Anche in questo caso il lavoro compiuto con la mental coach si è rivelato fondamentale. Una gioia immediatamente condivisa con Gianmarco Tamberi, l’altro
azzurro che pochi minuti prima di lui si era messo a sua volta un oro al collo, nel salto in alto. E poi, per nulla appagato da quell’impresa, pochi giorni dopo Jacobs ha concesso il bis nella staffetta 4×100 con Filippo Tortu, Lorenzo Patta,
Eseosa Desalu, prevalendo di misura sull’Inghilterra. “Tutta l’Italia ci ha spinto”, ha sottolineato subito dopo l’incredibile bis, a testimonianza di quanto lui e gli altri tre velocisti azzurri avessero percepito (e recepito) il calore ed il sostegno di un Paese intero, estasiato dalle loro gesta. E se servisse un’ulteriore conferma, basterebbe rammentare l’accoglienza ricevuta dallo stesso Jacobs una volta rientrato in Italia, trattato come una vera star. “Ma io sarò lo stesso di sempre, soltanto con un peso in più sul collo”, ha spiegato riferendosi alle due medaglie. “Cercherò di alzare ancora l’asticella, mantenermi al vertice a lungo”. Ripetersi ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 sarà una sfida complicatissima, ma stimolante.
Di certo, le attenzioni nei suoi confronti sono aumentate a dismisura. Tutti lo vogliono: sponsor e programmi televisivi farebbero carte false per assicurarselo. E pure il seguito sui social sta crescendo a dismisura. Di fronte a chi ha azzardato paragoni con i campionissimi del passato, da Jesse Owens a Usain Bolt, lui non si è affatto scomposto. “Mi ha lusingato vedere il mio nome accostato a veri e propri miti da cui ho cercato rubare qualche dettaglio”. Ed è servito. In fondo, i 100 metri – la gara regina dell’atletica – si decidono in pochissimi centesimi. A coloro che hanno avanzato insensate insinuazioni sui suoi successi, Jacobs ha replicato con fermezza. “Io sono abituato a farmi scivolare tutto addosso. Molti parlano senza conoscere”. Un campione si riconosce pure da questo.