I Tesori sotto al Mar Mediterraneo
Crocevia di importanti scambi commerciali fin dall’antichità,
il Mar Mediterraneo custodisce nei suoi abissi un’infinità di tesori,
alcuni conosciuti altri ancora no.
tratto da PiùMe Magazine n. 7 Luglio 2022 p. 34 a cura di Lara Venè
E nei suoi fondali vive un mondo di domus, reperti, relitti, porti, peschiere, che fanno parte di quel patrimonio subacqueo di interesse relativamente recente, ma altrettanto prezioso e rivelatore della nostra storia quanto quello terrestre.
“Il patrimonio subacqueo – racconta Barbara Davidde, Soprintendente nazionale al patrimonio subacqueo, archeologa e sub – è molto ricco e raccoglie testimonianze che vanno dall’età preistorica alla seconda guerra mondiale”.
Il relitto arcaico di Otranto
Il mare Nostrum ci ha consegnato veri e propri tesori. Come il relitto, datato ai primi decenni del VII sec. a.C., individuato nel Canale di Otranto a 780 m di profondità durante le operazioni per la realizzazione del gasdotto della TAP (Trans Adriatic Pipeline).
In particolare, si tratta di tre anfore corinzie di tipo A, dieci skyphoi e quattro hydriai, tre oinochoai, un pythos, tutti di produzione corinzia. “Il relitto – spiega la Soprintendente – costituisce un unicum per la fattura del materiale recuperato e per la sua datazione. È il primo relitto alto-arcaico ritrovato nel mar Adriatico, il primo che testimonia le fasi più antiche del commercio tra la Magna Grecia e la madre patria”.
Il relitto di San Pietro in Bevagna
Nei pressi della foce del fiume Chidro, a soli 70 metri dalla costa, è ubicato il relitto di San Pietro in Bevagna (Manduria, TA).
Occupa un’area di circa 150 mq, su un fondale prevalentemente sabbioso a una profondità compresa tra 3 e 6 m, visitabile facilmente con maschera e boccaglio. Qui si trovano venti sarcofagi di marmo bianco di forma e di dimensioni diverse, dal peso variabile dai 1.000 ai 6.000 chilogrammi.
L’antico porto di Egnazia in Puglia
La piccola insenatura, antistante la spiaggia a nord dell’Acropoli dell’antica Egnazia, nei pressi di Fasano, in Puglia, conserva le vestigia dell’antico porto costruito dai romani, che probabilmente
veniva utilizzato per costruire o riparare le imbarcazioni: con la bassa marea o immergendosi facendo snorkeling è facile individuare le sagome delle strutture portuali sommerse dall’acqua.
Il parco sommerso di Baia uno dei siti più importanti
A nord del Golfo di Napoli, si trova, invece, il Parco sommerso di Baia, un’area marina definita anche “la Pompei sommersa” per la struttura simile a quella della città romana.
Era una città ammirata dagli antichi imperatori soprattutto per la vita mondana che vi si svolgeva e per le famose terme.
La città, a causa di frequenti bradisismi durati per duemila anni, sprofondò per circa otto metri sotto il livello del mare, riuscendo però a conservare tutti i suoi monumenti, terme, strade e ville per la maggior parte intatte, visitabili con battelli dalle chiglie trasparenti, la video barca o attraverso visite subacquee guidate.
Il sito più ampio del Parco è Villa Pisoni, una ricchissima villa, costruita protesa verso il mare da una delle famiglie più importanti del Senato romano: “qui – spiega Davidde – partiranno altre ricerche e la villa sarà a breve interessata da ulteriori lavori di restauro”.
Il restauro in loco: Italia leader mondiale
“L’idea di applicare il restauro terrestre anche sott’acqua è stata geniale – spiega Davidde. Venne partorita nel 2001 da Roberto Petriaggi”.
Archeologo e subacqueo, Petriaggi, nel 2001, avvia una sperimentazione presso la Peschiera romana di Torre Astura (Nettuno-Roma), a sud di Roma, per testare strumenti appositamente studiati e tecniche operative per la manutenzione e il restauro del patrimonio monumentale sommerso.
Da lì le tecniche si sono sempre più affinate e sono state esportate per restauri di altri siti.
“È iniziata una messa a punto di tecniche e una metodologia che si sono consolidate negli anni – spiega la Soprintendente – coinvolgendo ingegneri e studiosi di varie Università. Sono stati introdotti strumenti meccatronici con batterie che si possono cambiare direttamente sott’acqua senza bisogno di una barca. Si sono diffuse nuove malte idrauliche. Il tutto sta rendendo i lavori di restauro sempre migliori. Oggi – conclude Davidde – siamo leader nel mondo per il restauro in immersione, tanto che ora stiamo esportando le nostre tecniche in Grecia”.
E la nuove tecnologie: domus sul tablet con un clic
Anche questo è un sistema avanzato che agevola e indirizza le ricerche e che abbiamo solo in Italia.
In pratica, il subacqueo archeologo si immerge con un tablet che, grazie a un sistema di nodi acustici, lo conduce nel luogo esatto delle sue indagini e lo posiziona rispetto allo spazio.
Con un altro clic il subacqueo può, nell’immediato e direttamente sott’acqua, vedere com’era nel passato l’oggetto della sua ricerca.
“Prendiamo ad esempio una domus romana di 150 metri quadrati – spiega la Soprintendente – il subacqueo trova spesso zone coperte da vegetazione, alghe, spugne e non riesce a rendersi conto esattamente della reale dimensione degli spazi della domus. In questo caso il tablet risulta un alleato molto prezioso. Per gli scavi a Baia ed Egnazia abbiamo usato questa tecnologia”.
Ancora molto da scoprire
Il patrimonio da far emergere è ancora molto e disseminato in più zone e quello esistente non è catalogato.
“La creazione di una banca dati nazionale – afferma Davidde – è assolutamente necessaria. Ed è questo un impegno”.
Tra i progetti immediati, invece, oltre a quelli già menzionati, la Soprintendente impegnerà mezzi e risorse su uno studio di una trentina di relitti in cinque aree marine protette: (Baia, Caporizzuto, Capotesta, Isole Tremiti e Cinque terre.