Comunità energetiche
Cittadini e imprese, negozi, associazioni ed enti pubblici producono e si scambiano energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
Sono le Comunità energetiche con cui ci si difende dal caro energia rispettando l’ambiente: un metodo di città del futuro che affonda le radici nel nord Europa e che, sta prendendo piede anche in Italia, incentivato spesso dalle istituzioni.
tratto da PiùMe Magazine n. 10 Ottobre 2022 p. 28 a cura di Lara venè
Cosa sono le comunità energetiche
Previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE), le Comunità energetiche o Rec (Renewable Energy Community) sono associazioni tra diversi soggetti (cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali, imprese) che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. In questo modo riescono a contrastare lo spreco, condividendo un bene fondamentale a un prezzo accessibile.
Dove si comincia
Le Comunità energetiche si basano sulla partecipazione di tutti. Chiunque può farne parte. I soggetti privati e pubblici che vogliono dare vita ad una Comunità energetica devono costituire un ente legale, la Comunità appunto. E possono farlo nelle forme che preferiscono. In genere si opta per la forma di associazione o cooperativa dal momento che, per legge, lo scopo di una Comunità energetica non può essere il profitto. Si scrive lo statuto e ci si dota di un impianto. Chi vuol partecipare dovrà fare richiesta all’amministratore della Comunità e condividerne regole e finalità.
Gli impianti della Comunità
Gli aderenti alla Comunità dovranno individuare un’area in cui installare un impianto fotovoltaico. Può essere il tetto di un condominio per condividere l’energia prodotta tra tutti gli appartamenti o negozi e uffici che hanno scelto di far parte della Comunità. I consumatori devono essere vicini. Si possono costituire Comunità di borgo: l’impianto non deve necessariamente essere di proprietà della Comunità, può essere messo a disposizione da uno solo o più dei membri partecipanti o anche da un soggetto terzo. Spesso si avvia una convenzione con Comuni o altri enti pubblici, affinché sostengano le spese di investimento per l’impianto. Poi, ogni partecipante deve installare uno smart meter, un contatore intelligente in grado di rilevare in tempo reale le informazioni su produzione, autoconsumo, cessione e prelievo dalla rete dell’energia.
Tanti vantaggi
Far parte di una Comunità energetica offre tanti vantaggi in termini di risparmio anche economico.
Quelli immediati si possono subito riscontrare nella bolletta della luce. Nelle Comunità, infatti, parte dei consumi elettrici sono soddisfatti mediante l’autoconsumo legato all’impianto fotovoltaico: più energia si autoconsuma e più si riducono i costi delle componenti variabili della bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte quali accise e IVA).
C’è, poi, una valorizzazione dell’energia prodotta. Se, ad esempio, la produzione di energia risulta essere superiore al consumo, questa può anche venire immagazzinata in sistemi di accumulo per essere poi utilizzata quando le fonti rinnovabili non sono utilizzabili (ad esempio di notte nel caso dei pannelli solari) o quando se ne verifichi la necessità come nei casi in cui si debba far fronte a picchi di domanda. Attraverso contratti di diritto privato, che quindi vengono decisi all’interno delle singole Comunità, i componenti decidono come ripartire i ricavi derivanti dall’energia prodotta: si può decidere di ripartire i guadagni della vendita dell’energia in eccesso in modo uguale fra tutti i soci o di privilegiare, in base a criteri stabiliti, alcuni in particolare.
Tra i vantaggi, anche le agevolazioni fiscali: per i privati la realizzazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio rientra nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, previsti dall’Agenzia delle Entrate, per l’accesso alle agevolazioni fiscali. È infatti possibile detrarre dall’Irpef il 50% dei costi di realizzazione (maggiori dettagli nella guida dell’Agenzia delle Entrate). Per le imprese è previsto il superammortamento del 130% del valore.
Dalla Germania all’Italia
Le Comunità energetiche rinnovabili sono una realtà diffusa in molti paesi del Nord Europa. Il primato spetta alla Germania che, secondo uno studio del Centro Comune di Ricerca dell’Unione Europea del 2020, con 1750 Comunità, è il paese Ue che ne conta di più. Seguito dalla Danimarca che ne ha 700 e dai Paesi Bassi dove se ne trovano 500.
La guida ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) realizzata nell’ambito del Progetto Europeo GECO, stima che per il 2050 264 milioni di cittadini dell’Unione Europea genereranno fino al 45% dell’elettricità rinnovabile complessiva del sistema, contribuendo così in maniera attiva al raggiungimento della neutralità climatica. Stando alla XVI edizione di Comunità Rinnovabili, lo storico rapporto di Legambiente, in Italia, nella primavera scorsa erano circa 33 le Comunità Energetiche da fonti rinnovabili complessivamente mappate, di cui 100 realtà effettivamente operative, 41 in progetto e 24 che muovono i primi passi verso la costituzione. In capo a tre anni, ci potrebbe essere una crescita davvero importante se, come sostiene il Politecnico di Milano nello studio l’Electricity Market Report le energy community italiane saranno circa 40mila e coinvolgeranno circa 1,2 milioni di famiglie, 200mila uffici e 10mila piccole