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28 Novembre 2022

 

Campioni del mondo

È nata una nuova “generazione di fenomeni?” La domanda se la sono posta in tanti dopo che l’Italia del volley è salita sul tetto del mondo, conquistando un titolo che mancava dal 1998. Soltanto il tempo dirà se il paragone con una delle squadre più forti di ogni epoca, capace coi suoi trionfi in sequenza di far innamorare della pallavolo un Paese intero negli anni ‘90, è azzardato o no.

tratto da  PiùMe Magazine n. 11  Novembre 2022  p. 68 a cura di Gabriele Noli

Si certo, l’impresa compiuta lo scorso settembre dai ragazzi guidati da Ferdinando De Giorgi a Katowice (in Polonia), superando in finale proprio la Nazionale padrona di casa e campione in carica, non può che far ben sperare. Esattamente un anno prima, sempre alla Spodek Arena, gli azzurri si erano aggiudicati gli Europei. E pensare che il ct si era insediato da neppure un mese, prendendo il posto di Gianlorenzo Blengini, il cui ciclo sulla panchina italiana si era esaurito con il sesto posto ai Giochi Olimpici di Tokyo. De Giorgi ha attuato un profondo ricambio generazionale, conservando ben poco di quel gruppo. Largo ai giovani, anche a costo di compiere scelte drastiche, ai limiti dell’impopolare. Come l’esclusione dal Mondiale di Ivan Zaytsev, uno dei volti più famosi della pallavolo italiana, assente come agli Europei del 2021. In quel caso, però, a tenerlo fuori fu un’operazione al ginocchio destro.

De Giorgi ha dato spazio alla linea verde, valorizzando il talento individuale all’interno di un contesto di squadra, nel quale il concetto di “io” viene spodestato da quello del “noi”: i ragazzi selezionati dal commissario tecnico lo hanno capito da subito, dimostrando una naturale propensione al sacrificio e mettendosi incondizionatamente a disposizione per raggiungere un obiettivo comune. Tutti gli azzurri sono nati tra il 1995 ed il 2001, con la sola eccezione di Simone Anzani (1992), chiamato – da vicecapitano – a trasmettere la propria esperienza ai compagni. Ma la differenza l’hanno fatta soprattutto le qualità tecniche e caratteriali. “È stato un percorso straordinario, al di là della vittoria di un Mondiale con 12 esordienti e 24 anni di media.

Questi ragazzi mi hanno reso orgoglioso: hanno fortemente creduto nel progetto. Trasmettono emozioni e rappresentano una speranza per il Paese, vanno tenuti in grande considerazione”, ha commentato De Giorgi, che di Mondiali ne aveva vinti addirittura 3 da giocatore (tra il 1994 e il 1998) facendo parte proprio della “generazione di fenomeni”. “È stato bellissimo rivivere nuovamente queste sensazioni. Da allenatore però c’è più gusto, perché incidi su tante situazioni”. E lui lo ha fatto, con pazienza e fiducia, avvalendosi anche del prezioso contributo del pedagogista Giuliano Bergamaschi, fondamentale per stemperare le tensioni che possono inevitabilmente crearsi durante una competizione così logorante per testa e gambe.

De Giorgi, per sua stessa ammissione, è cresciuto sotto l’influenza di Julio Velasco, l’allenatore che ha segnato un’era, al di là dei trionfi in sequenza. Vedere la serenità e i sorrisi con cui i giocatori hanno affrontato i momenti decisivi di ogni sfida fa comprendere quanto sia stato efficace il lavoro svolto da De Giorgi. “Ero sicuro che questi ragazzi potessero lottare per traguardi di rilievo anche prima degli Europei – ha ammesso il ct -. Insieme abbiamo creato qualcosa di stupendo, vicino all’eccezionale”. Uno su tutti, Simone Giannelli, promosso capitano dopo l’esclusione di Zaytsev. Da bambino giocava a calcio, tennis e andava sugli sci (è nato a Bolzano) e andava spesso a vedere le partite della sorella pallavolista. E così si è avvicinato ad uno sport nel quale da grande si sarebbe affermato, tanto da essere nominato (a 26 anni) miglior giocatore del Mondiale conquistato dagli azzurri.

Il suo ruolo? Palleggiatore, guarda caso quello che fu di De Giorgi. “Ci ha insegnato a non lasciarci prendere dal panico nelle situazioni complicate e a essere coscienti del nostro talento.

Questo livello di consapevolezza si raggiunge solo con tanto lavoro in palestra. In campo sembravamo un gruppo di amici che si stavano divertendo con lo sport che amano”. La stessa impressione l’hanno avuta i milioni di telespettatori che hanno seguito da casa la finalissima contro la Polonia, a testimonianza del riscontro che sa generare la pallavolo negli appuntamenti decisivi. Oltre a Giannelli sono svariati i nomi da menzionare tra gli artefici del capolavoro dell’Italia: Yuri Romanò, scovato in serie A2 e protagonista di una crescita rimarchevole; Alessandro Michieletto, figlio d’arte (suo padre Riccardo ha vinto due scudetti con Parma all’inizio degli anni ‘90) e elemento imprescindibile per il gioco di De Giorgi; Daniele Lavia, il “ragazzo di Calabria”, schiacciatore pure lui.

È però doveroso menzionare tutti i giocatori che si sono messi al collo la medaglia d’oro, ammutolendo i circa 13mila spettatori polacchi della Spodek Arena, sconsolati per la sconfitta della loro Nazionale ma che comunque hanno riconosciuto con sportività la superiorità italiana: Giulio Pinali, Francesco Recine, Fabio Balaso, Riccardo Sbertoli, Mattia Bottolo, Gianluca Galassi, Roberto Russo, Leonardo Scanferla e Leandro Mosca, oltre ai già citati Giannelli, Romanò, Michieletto, Anzani e Lavia.

E adesso il pensiero è rivolto a cosa potrà accadere (di bello) nel prossimo futuro, con un riferimento specifico al 2024, l’anno dei Giochi Olimpici, che si terranno a Parigi: l’impressione è che gli azzurri, per quanto formidabili ai Mondiali, abbiano ancora grandi margini di miglioramento, tenuto (anche) conto dell’età media relativamente bassa.

Di certo, sarà premura di De Giorgi proseguire sulla strada tracciata nel 2021. “Per fare ciò che abbiamo fatto, bisogna essere speciali”, ha ammesso il ct. La portata dell’impresa degli azzurri l’ha rimarcata pure il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che li ha ricevuti al Quirinale all’indomani della conquista del Mondiale. Una scena che, si augurano tutti, possa ripetersi nel 2024, per festeggiare assieme un altro oro. Quello olimpico.

 

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