Paola Egonu
Dopo ogni schiacciata, un sorriso. Di gioia, per un punto vincente. Di amarezza, per un errore. Tutto si consuma in pochi istanti. Il tempo, minimo, di avvertire una reazione, esprimerla, per poi concentrarsi sull’azione successiva.
Al termine della quale la scena si ripeterà. E non passerà mai inosservata, perché a riprenderla ci sarà sempre qualche telecamera. Non è facile essere Paola Egonu .
tratto da PiùMe Magazine n. 12 Dicembre 2022 p. 68
Osannata per i trionfi, indicata come prima responsabile delle sconfitte. È il destino comune a chi possiede un talento che di comune non ha niente: campioni, in qualche caso fuoriclasse o addirittura predestinati.
Lei ha scelto di affrontarlo proprio con il sorriso, consapevole che dovrà farci i conti fino agli ultimi di giorni di una carriera ancora lunghissima, nella quale è presumibile credere che diverrà più forte di quanto non lo sia adesso. Viene considerata, non a torto, una delle migliori pallavoliste del mondo.
Ecco perché le aspettative nei suoi confronti sono altissime, riposte da chi, magari, ritiene che possa vincere le partite (quasi) da sola, grazie a quelle schiacciate con poche eguali. E spesso ci riesce, favorita da uno strapotere fisico disarmante. Ma talvolta non accade. E in quei casi, su Egonu ricadono critiche eccessive.
Come se davvero il volley, che è uno sport di squadra, dipendesse in forma esclusiva dal rendimento di un singolo, per quanto forte e potenzialmente decisivo. Lei, ormai, ci ha fatto l’abitudine. E mostra comunque quel sorriso bianchissimo che scompare soltanto nei casi in cui le frasi che le vengono rivolte si spostano su un altro campo: ovvero, quando l’attenzione non è più focalizzata sulla prestazione ma sul colore della pelle.
L’ultima volta è accaduto ai Mondiali di ottobre, dopo la sconfitta in semifinale con il Brasile. Non è stata certo una delle sue partite più memorabili, lei stessa ne è cosciente. Niente però che possa minimamente giustificare gli attacchi ricevuti via social. Al termine della gara vinta con gli Stati Uniti (valsa il bronzo), la stella azzurra si è sfogata con il procuratore Marco Raguzzoni: “Mi hanno chiesto anche se fossi italiana. Vinciamo grazie a me, ma soprattutto quando si perde è sempre colpa mia…” Il video, pubblicato sui social network, ha fatto il giro del web, scatenando indignazione per quei commenti razzisti, in particolare i dubbi sulla nazionalità, per altro infondati visto che Paola Egonu è nata a Cittadella (Padova), il 18 dicembre 1998.
Si è poi generata una seconda ondata, quella della solidarietà nei confronti della campionessa veneta, espressa anche dal mondo politico e istituzionale. Adesso lei gioca in Turchia, nel VafikBank, dopo tre stagioni a Conegliano in cui ha messo le mani su quasi tutti i trofei in palio.
Voleva vivere una nuova esperienza (la prima all’estero) totalmente diversa dalle precedenti: una decisione presa ormai da tempo, dettata dalla prospettiva di approdare in una delle società più forti al mondo (con uno stipendio di assoluto rilievo) e estendere ulteriormente un palmarès personale – al quale lei stessa ha contribuito in modo determinante – che conta 2 scudetti, 5 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 2 Champions League 1 mondiale con i club; un argento e un bronzo ai Mondiali, un oro e un bronzo agli Europei, una Nations League con la Nazionale.
Un elenco sterminato di trofei che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, quanto il posto migliore possibile per Paola Egonu sia dentro un campo da volley, a prescindere da dove si trovi: benedetti i pomeriggi trascorsi, da bambina, davanti alla tv guardando “Mila e Shiro”. È stato proprio quello lo stimolo per avvicinarsi alla pallavolo, con il benestare del padre. I primi approcci nel Team Volley di Galliera (a pochi passi da casa) sono bastati per intuirne l’enorme potenziale.
Il trasferimento a Milano a neppure 15 anni per legarsi al Club Italia ha segnato uno spartiacque nel vissuto sportivo (e non solo) di una ragazza cresciuta molto in fretta e che si è ritrovata lontana dalla famiglia, ma più vicina ad un futuro al quale sembrava inesorabilmente destinata.
La prima chiamata in Nazionale nel 2015, ancora minorenne, è giunta di conseguenza. Non ci avrebbe messo molto a diventarne la figura di riferimento, portandola al livello delle potenze assolute del pianeta, con l’unico passaggio a vuoto dei Giochi Olimpici di Tokyo 2021, chiusi senza medaglia. Una delusione di squadra parzialmente compensata dalla sfilata come portabandiera del Comitato Olimpico: un sogno per lei, un orgoglio per l’Italia.
Lo status di campionessa implica una sovraesposizione mediatica, pure sui social, dove Egonu è costantemente attiva, condividendo momenti di svago tra una partita e l’altra o che talvolta esulano dal volley. Niente di inusuale se rapportato a una ragazza di 24 anni, che però nel caso specifico fa notizia a prescindere. Si tratta comunque di un modo per evadere, seppur fugacemente, dalle pressioni esterne a cui lei aggiunge le sfide che ogni volta si autoimpone perché, dice, “mi aiutano a restare concentrata, l’importante è non lasciarsi condizionare”.
Le critiche, invece, “le utilizzo per caricarmi”. Prima ancora che difendere, Paola Egonu preferisce attaccare, almeno in campo. “È ciò che mi riesce meglio”, riconosce. Capita che voglia fronteggiare tutte le situazioni delicate e provare a risolvere, proprio come il pubblico si attende da quelle come lei. Ma non può sempre funzionare e lo sa fin troppo bene. Poco importa: oggi è una delle sportive italiane più rappresentative e lo sarà per moltissimi anni ancora.