I giovani e il lavoro
I giovani nel lavoro cercano flessibilità e sono pronti a cambiare per vivere meglio
Secondo un’indagine di Randstad research institute su dati CICO spostarsi con frequenza da un lavoro ad un altro è una dinamica tanto più presente quanto più è giovane l’età dei lavoratori.
tratto da PiùMe Magazine n.5 Maggio 2024 p. 26 a cura di Lara Venè
Non è il lavoro sicuro e magari a tempo indeterminato con cui è possibile sistemarsi, non è la possibilità di far carriera o lo stipendio in sé: la priorità dei giovani nel scegliere il lavoro e mantenerlo è la flessibilità. Condizione necessaria per “lavorare per vivere” e non viceversa. Perchè, questa la sostanza, il lavoro è solo una piccola parte della loro vita.
Stando a diverse ricerche non sono gli unici a pensarla così e le loro aspettative non sono tanto diverse da quelle della maggior parte dei lavoratori italiani e del resto del mondo.
L’ultimo rapporto realizzato dal Censis, ad esempio, rivela che per il 62,7% degli italiani, il lavoro non rappresenta la preoccupazione principale nella vita.
E anzi, l’80% dei lavoratori italiani ha “rinnegato” il sacrificio degli interessi personali che il lavoro ha comportato in passato, a discapito del proprio benessere, ritenendolo sbagliato e da non ripetere. Si tratta oggi di una tendenza generalizzata che gli esperti attribuiscono alla pandemia che avrebbe fatto apprezzare al mondo ritmi di vita più lenti e sostenibili a cui le persone non vorrebbero rinunciare.
I millenials e la generazione Z sono però più disponibili a cambiare
Ma se queste sono le priorità della maggior parte dei lavoratori, la vera differenza si registra sulla capacità di voltare pagina. E millennial più giovani (25-34 anni), millennial più anziani (35-44 anni) e generazione Z (18-24 anni), sono più disposti a cambiare, lasciare un lavoro che non li soddisfa per cercarne un altro che sia più in linea con i propri desideri. Lo rivela uno studio di un team di consulenti della McKinsey sulle tendenze e le priorità dei talenti nel mondo del lavoro condotto sui dipendenti di tutte le fasce generazionali di un campione di 30 mila persone.
La ricerca di McKinsey ha analizzato atteggiamenti e i comportamenti dei lavoratori in cinque gruppi di età più piccoli e coerenti: Gen Z (18-24 anni), millennial più giovani (25-34 anni), millennial più anziani (35-44 anni), Gen X (45-54 anni) e baby boomer più giovani (55-64 anni). E ha scoperto che, sebbene i
tassi di abbandono del lavoro varino in base al gruppo di età, le preferenze dei dipendenti sono più simili che diverse, soprattutto quando pensano di lasciare il lavoro, ma le ragioni per accettare o tenere
un lavoro variano molto di più a seconda dell’età.
Flessibilità è la parola d’ordine
I giovani della generazione Z, ad esempio, considerano la flessibilità, lo sviluppo della carriera, un lavoro
significativo e un ambiente di lavoro sicuro e solidale, come fattori più importanti della retribuzione quando decidono di rimanere con il loro attuale datore di lavoro.
Quindi, quando i più giovani rimangono, non è solo per i soldi: i Gen Z pongono meno enfasi di qualsiasi altro gruppo sulla retribuzione come ragione per rimanere, fattore, questo, che aumenta di importanza solo con l’età. Per loro, dunque, acquista notevole interesse il cosiddetto work-life balance.
Work-life balance
L’espressione inglese sta per equilibrio vita lavoro, condizione per conciliare famiglia, salute, tempo libero, amicizie e svago senza sacrificare qualcosa.
I GenZ e i Millennial italiani danno grande valore al tempo extra-lavorativo. Per garantire un migliore worklife balance (dati “Deloitte Global GenZ and Millennial Survey”) il 38% dei Millennial e 39% della GenZ vorrebbe la settimana lavorativa da 4 giorni mentre il 32% dei Millennial e il 28% della GenZ insiste sull’importanza di garantire la possibilità di lavorare da remoto.
In generale, il 73% della GenZ e il 78% dei Millennial in Italia dichiara che il tema della salute mentale è
rilevante quando prende in considerazione un nuovo datore di lavoro.
Non mi piace? Cambio. E torna di moda il job hopping
Il job hopping è il fenomeno per cui un lavoratore “salta” (to hop, significa saltare) da un lavoro ad un altro con una certa facilità. Secondo gli studi in materia è una tendenza che riguarda in particolar modo la generazione dei millennials e che fino a poco tempo fa caratterizzava soprattutto i lavoratori delle professioni digitali, soprattutto in Italia.
Secondo un’indagine di Randstad research institute su dati CICO spostarsi con frequenza da un lavoro ad un altro è una dinamica tanto più presente quanto più è giovane l’età dei lavoratori. In particolare, è
emerso come i lavoratori più giovani, dai 15 ai 34 anni, tendono a cambiare settore con più facilità
rispetto ai lavoratori più anziani.
E il fenomeno è inversamente proporzionale al crescere dell’età.
Le motivazioni, oltre alla retribuzione sono: maggiore conciliazione tra vita e lavoro, flessibilità, maggiori opportunità di carriera, possibilità di crescita personale, formazione, ricerca di un migliore allineamento tra la scala di valori personali e quelli della propria azienda (IBM, Randstad).
Il job hopping non è un fenomeno degli ultimi anni, ma, fa notare la ricerca di Randstad research
institute, è che dopo un periodo di flessione, a partire dal 2019 la tendenza è quella di risalire.