i 100 anni di
Alberto Sordi
Una maschera sopravvissuta al tempo. Alberto Sordi ha raccontato
il paese con i suoi vizi e le sue virtù, le sue debolezze e la sua
creatività. Anche per questo forse l’Italia lo ha amato molto.
tratto da IperSoap Magazine n. 8 agosto 2020 p. 42, a cura di Lara Venè
Gli italiani si sono spesso identificati negli innumerevoli personaggi a cui lui ha dato vita: dallo spaccone all’arrogante, dal miserabile al servile con il potente di turno, dal ruffiano al prepotente, film dopo film, è sfilata tutta quell’umanità che è stata la forza della commedia all’italiana di cui Sordi è uno dei padri fondatori.
Romano, una passione innata per la recitazione, raggiunge la popolarità in tv nel 1953 con “I vitelloni”, diretto da Federico Fellini in cui Sordi si aggiudica il nastro d’argento come attore non protagonista.
Sua, qui, una delle scene più divertenti che hanno fatto la storia del cinema: la celebre pernacchia dalla macchina in corsa, che il “vitellone” Alberto accompagna con il gesto dell’ombrello all’indirizzo di un gruppo di operai intenti al lavoro, è diventata cult.
Seconda solo a quella di “Un americano a Roma”: altro successo, diretto da Steno e uscito un anno dopo, nel 1954, che ritrae Sordi seduto al tavolo di cucina intento a divorare un grande piatto pieno di spaghetti. Anche questa una frase che è diventata storia. Alberto Sordi è Nando Mericoni un giovane che sogna gli Stati Uniti e cerca di comportarsi come un americano. Tutto il film ruota intorno al mito dell’America inseguito in Italia nell’ultimo dopoguerra ed è una parodia continua su tutti gli stereotipi italiani affascinati dal vivere americano. Alberto Sordi rientra a casa e trova la tavola pronta con la sua cena. «Maccaroni? Questa è roba da carrettieri, io non mangio maccaroni. Vino rosso? Io non bevo vino rosso. Lo sapete che sono americano, gli americani non mangiano maccheroni, non bevono vino rosso. Bevono latte, per questo vincono gli apache. Maccarone, che mi guardi con quella faccia intrepida, mi sembri un verme, maccarone. Questa è roba da americani: yogurt, marmellata, mostarda… roba sana sostanziosa».
E poi ecco la celebre frase: «Ammazza che zozzeria! Gli americani aho… Maccherone, m’hai provocato e io ti distruggo…”
Poi, un susseguirsi di film, quasi duecento, “Il marito”(1958), “Il vedovo”(1959), “La grande guerra” (1959), “Il vigile” (1960),“Una vita difficile” (1961),”Il boom”(1963),“Il medico della mutua” (1968), “Polvere di stelle”(1973), che raccontano la storia del paese che sta cambiando, attraverso personaggi che rappresentano quello che viene definito l’italiano medio. Sono caricature con piccole grandi meschinità, che Alberto Sordi fa emergere con una naturalezza tale da far scattare l’identificazione.
Dal medico della mutua in cerca di pazienti da curare al vigliacco, approfittatore, indolente di “Piccola posta” (1955); dal soldato imboscato ne “La grande guerra” al vigile che capitola di fronte al potente di turno. Da questa satira tagliente non viene risparmiato nessuno. Uno degli ultimi graffi è verso la nobiltà. È il 1981 quando esce, diretto da Mario Monicelli, il “Marchese del Grillo”. Siamo agli inizi del’800 e Sordi è il marchese Onofrio del Grillo, nobile romano alla corte di papa Pio VII, che trascorre le sue giornate nell’ozio totale, passando il tempo tra bettole e osterie, coltivando relazioni amorose clandestine con popolane, in barba alla madre e alla parentela conservatrice, bigotta e autoritaria. Fa scherzi e si diverte e, all’occorrenza, ricorre alle conoscenze dell’alta borghesia per uscire dalle situazioni che lo mettono in
difficoltà. E del resto, lui se lo può permettere perchè: “Che ci volete fare: ma io so io, e voi nun siete un c….”.
Questo mondo e queste storie non ci fanno ridere, ci fanno sorridere e ci lasciano in bocca un retrogusto amaro. E in fondo è questa la grande forza inimitabile della commedia di Sordi e di tutta la commedia all’italiana: pochi effetti speciali, attori formidabili, grandi interpretazioni e carisma da vendere.
Ma una delle interpretazioni migliori di Sordi è nel ruolo drammatico di quel capolavoro che è “Un borgese piccolo piccolo”, 1977, anche in questo caso diretto da Monicelli, tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami. Anche qui si raccontano i vizi dell’Italia, solo che questa volta non si ride. La commedia all’italiana ha esaurito il suo slancio, ci si sta avvicinando agli anni ottanta con il carico della loro pesantezza.
A cento anni dalla sua nascita sono tanti gli aneddoti, le storie, le curiosità che sono state ricordate per celebrare questo grande personaggio morto a 83 anni nel 2003. Massimo Ghini durante le celebrazioni ufficiali avvenute in Campidoglio a Roma ha raccontato come Sordi fosse diventato un personaggio leggendario, in grado di suscitare la curiosità di grandi registi, come Francis Ford Coppola: «Quando incontrai Coppola per una pubblicità ispirata a Lo sceicco bianco – ha raccontato Massimo Ghini – dopo pochi minuti di chiacchiere, mi chiese di mostrargli il famoso “passetto” di Sordi»
Anche una mostra per ricordare l’Albertone nazionale.
A partire dal 16 settembre 2020 fino al 31 gennaio 2021 è in programma la mostra su Alberto Sordi, realizzata tra la sua Villa (in piazzale Numa Pompilio) e il Teatro dei Dioscuri. È curata da Alessandro Nicosia con Vincenzo Mollica e la giornalista del Messaggero Gloria Satta.