Giorgio Gaber
Aveva quel modo tutto suo di stare sul palcoscenico: sembrava occuparlo
per intero, anche quando era seduto solo con la chitarra sulle gambe,
anche quando in fondo ormai la malattia non gli dava più tregua.
tratto da IperSoap Magazine n. 1 Gennaio 2021 p. 44, a cura di Lara Venè
Ma a lui, il signor G, non sono mai mancati il potere dell’ironia, il sarcasmo, la lucidità e l’acume. E quella capacità di entrare in contatto con il pubblico con un’empatia rara, che era la forza del “suo” teatro. Giorgio Gaber se n’è andato troppo presto, il primo giorno di un gennaio di 17 anni fa, a 64 anni.
Milanese, nato in una famiglia di appassionati di musica comincia fin da bambino a suonare la chitarra. Gliela regalò
suo padre come cura riabilitativa, affinchè esercitasse le dita della mano sinistra a seguito di una poliomelite che lo colpì all’età di 9 anni. “tutta la mia carriera nasce da questa malattia “ raccontò lui più tardi. Chissà se aveva ragione, certo è che l’attrazione per la musica non lo abbandonerà mai più. Inizia una carriera da chitarrista nel gruppo di Ghigo e gli arrabbiati, poi dopo due anni entra nel Rock Boys, il complesso di Adriano Celentano, in cui trova anche Enzo Jannacci che è al pianoforte. E’ il 1956. In quersto periodo conosce Luigi Tenco che nel frattempo da Genova si era trasferito a Milano e con lui forma il gruppo I Rocky Mountains Old Times Stompers: Jannacci al pianoforte, Tenco e Paolo Tomelleri al sax, Gaber e Gian Franco Reverberi alla chitarra. Lo nota Nanni Ricordi, direttore artistico dell’omonima casa editrice musicale, che lo invita per un provino. Da poco era nata la Dischi Ricordi, branca della storica casa editrice musicale per la musica leggera. Gaber fa il provino e inizia la carriera da solista, con l’incisione di quattro canzoni, due originali in italiano: Ciao ti dirò (rock) e Da te era bello restar (lento), e due successi americani.
Nel 1960 arriva il suo primo successo Non arrossire e poi, in tutti gli anni 60 una serie di canzoni che hanno fatto la storia della nostra “musica leggera”. Da “Porta Romana”, a “Torpedo blu”, “Goganga”, “Come è bella città” e tante altre ancora. Molte sono canzoni ironiche, che graffiano e irridono ai mali della contemporaneità come il progresso e il conformismo, anticipando il suo prossimo impegno civile.
Tra queste un posto speciale se l’è conquistato La ballata del Cerutti scritto in coppia con Umberto Simonetta: gli americani cantano e scrivono ballate per il loro eroi e Gaber ne scrive una ambientata in un quartiere della Milano di quegli anni e “celebra” il balordo scansafatiche di turno, un nome comune come tanti, Cerrutti Gino, personaggio immaginario.
Il teatro-canzone
Nel 1970 debutta al Piccolo Teatro di Milano con lo spettacolo Il signor G., primo di una lunga serie di recital scritti assieme a Sandro Luporini. Danno vita ad un genere tutto nuovo, che non è teatro e non è solo musica, ma è quello che viene definito il teatro-canzone, genere artistico che fonde la musica al teatro in una combinazione speciale e molto fortunata in cui Gaber trova la sua dimensione migliore. Siamo agli inizi degli anni settanta, le turbolenze del’68, le lotte studentesche e sindacali, il bisogno di un rinnovamento e maggiori spazi di libertà anche nell’arte e nella cultura, sono alcuni degli ingredienti del successo del teatro canzone, che toglie il gesso al teatro classico. Gaber interpreta al meglio questo bisogno, rinuncia alla TV e si dedica a questo tipo di teatro che solo lui riesce ad interpretare così magnificamente, con monologhi passati alla storia, una fisicità unica, e una sintonia con il pubblico, che fanno di queste serate un concentrato di emozioni e bellezza irripetibili. Luporini e Gaber scrivono e realizzano spettacoli di grande successo come Dialogofra un impegnato e un non so, Far finta di essere sani, Anche per oggi non si vola, Libertà obbligatoria, “Anni affollati”, “Io se fossi Gaber”.
Il signor G. registra 18.000 spettatori; Dialogo tra un impegnato e un non so tocca le 166 recite con 130.000 presenze; Far finta di essere sani in 182 recite raggiunse i 186.000 spettatori.
La fortuna di questi brani sta anche nell’aver saputo tratteggiare la società e l’Italia di quegli anni con leggerezza e ironia, con monologhi quasi assurdi ma di grande forza. Capaci di far ridere e riflettere. Gaber denuncia con l’ironia: “Lo shampoo”, “Il conformista”, “Destra-Sinistra” o “L’uomo che perdeva i pezzi” esasperano luoghi comuni o le critiche alle debolezze del mondo piccolo-borghese.
Negli anni Ottanta esce «Io se fossi Gaber». Il tema è l’appiattimento, la massificazione. Gaber dichiara: “Io se fossi Gaber nasce dalla polemica sul misterioso termine “massa”, su quelli che hanno ceduto alla logica del mercato, sulla caduta di resistenza anche da parte degli ultimi che facevano il tifo per il gusto”. Poi è la volta di “Parlami d’amore Mariù”, in cui ripropone il tema del rapporto di coppia e Il Grigio con cui nel 1989 vinse il premio teatrale Curcio.
Dal 1972 al 1982 gli spettacoli del teatro-canzone totalizzarono 2 milioni di biglietti venduti; nel 1991, in una stagione, Il Grigio (che aveva debuttato a Belluno il 19 ottobre 1988) arrivò a 170.000 spettatori in 150 recite.
Negli ultimi anni torna alla canzone nella forma più tradizionale con due album La mia generazione ha perso e Io non mi sento italiano. Il primo, pubblicato il 13 aprile del 2001 presenta alcune canzoni di spettacoli precedenti (Destra Sinistra e Quando sarò capace d’amare) e alcuni inediti, di cui il più significativo era La razza in estinzione, il brano in cui compariva la frase che dà il titolo al disco. Gaber è segnato dalla malattia che avanza, ma nello stesso anno partecipa al programma su RaiUno 125 milioni di caz…te, di e con Adriano Celentano, insieme ad Antonio Albanese, Fo, Jannacci. I cinque cantano insieme Ho visto un re. Inizia in questo periodo anche la lavorazione di Io non mi sento italiano, poi pubblicato postumo.