Il Marocco – la squadra rivelazione dei mondiali di calcio in Qatar
Il Marocco ha riscritto la storia: nessuna squadra africana aveva mai raggiunto la semifinale di un Mondiale. Un tabù che i “Leoni dell’Atlante” hanno infranto in Qatar, tra novembre e dicembre, chiudendo quarti.
tratto da PiùMe Magazine n. 2 Febbraio 2023 p.68 a cura di Gabriele Noli
La sconfitta nella semifinale contro la Francia e poi quella con la Croazia nella finale per il terzo posto non hanno intaccato il valore di un’impresa che resterà per sempre impressa nella memoria di un Paese che ha sognato a occhi aperti e che, anche quando la possibilità di vincere il trofeo è sfumata, non si è lasciato sopraffare dalla tristezza, continuando invece a mostrarsi orgoglioso. Il risultato sportivo, comunque straordinario, cela significati profondi: è il riscatto sociale di un popolo memore delle oppressioni dei colonizzatori, che attraverso il calcio ha rialzato la testa e non intende restare più ai margini.
La vittoria nei quarti di finale contro il Portogallo di Cristiano Ronaldo, uno dei giocatori più forti e pagati del pianeta, è stata l’emblema di questa rivalsa, resa possibile da una squadra capace di tirare fuori il meglio di sé a livello tecnico, fisico ma soprattutto mentale con cui far fronte a difficoltà insormontabili solo all’apparenza. Uno spirito indomito che ha unito il mondo arabo e che ha fatto breccia anche in Italia: già dal successo contro il Canada nell’ultima sfida della fase a gironi, valsa la qualificazione agli ottavi, i tifosi marocchini che vivono nel nostro Paese si sono riversati nelle strade e nelle piazze per festeggiare con caroselli, fuochi d’artificio, canti, balli, fumogeni e bandiere. Scene che si sono ripetute, sebbene con crescente intensità, dopo la clamorosa vittoria contro la Spagna e quella già menzionata contro il Portogallo. E pure molti italiani, che hanno ovviamente vissuto il Mondiale con meno trasporto a causa dell’assenza della Nazionale, si sono incuriositi e poi appassionati al cammino del Marocco, interrotto in semifinale contro una Francia spietata.
Il quarto posto in Qatar non deve essere considerato un exploit isolato. Piuttosto, traccia una netta linea di demarcazione con il passato. Ed è una prospettiva che si ritrova nelle riflessioni del commissario tecnico Walid Regragui, il principale artefice del capolavoro dei “Leoni dell’Atlante”. “Saremo ricordati come la migliore squadra africana della storia. Le persone non dimenticheranno le nostre qualità umane: i marocchini hanno valori e voglia di fare. Volevamo mantenere vivo il sogno di un intero popolo, ma non si può vincere la Coppa del Mondo con i miracoli, serve duro lavoro ed è ciò che continueremo a fare. Ci ritenteremo nel 2026, non siamo molto lontani dal poterci riuscire”. Da queste parole si evince la consapevolezza unita al desiderio di tentare un nuovo assalto, tra 3 anni, a quel trofeo che sembrava pura utopia e che adesso invece risulta meno distante.
Regragui ha avuto il merito di elevare a dismisura il potenziale di un gruppo composto da buoni giocatori (qualcuno ottimo) ma non certo da fuoriclasse. Nomi in alcuni casi ignoti al grande pubblico, che in Qatar hanno saputo farsi conoscere e apprezzare al punto che le principali squadre europee hanno cominciato a seguirli con interesse. Un percorso che si è già compiuto per le stelle Hakimi, Ziyech, Mazraoui, Bounou e En-Nesyri. Fondamentale in tal senso è stata la nascita, nel 2009, della accademia calcistica Mohammed VI, situata a Salé, alla periferia della capitale Rabat, e che porta il nome del re: una struttura all’avanguardia destinata alla formazione dei giovani di maggior talento prima del loro trasferimento in Europa, per confrontarsi col calcio dei grandi. Un progetto senza precedenti per il nord Africa che ha rappresentato un esempio virtuoso, da prendere come riferimento per altri Paesi che ambiscono al rilancio calcistico.
Il Marocco ne ha tratto pieno giovamento: basti rammentare che Yousef En-Nesyri, Nayef Aguerd e Azzedine Ounahi, tre dei pilastri della Nazionale, sono cresciuti proprio nell’accademia Mohammed VI. Non solo: più della metà dei giocatori selezionati dal ct per i Mondiali non sono nati in Marocco, hanno però scelto la patria dei genitori come propria rappresentativa maggiore. Tra loro anche l’“italiano” Walid Cheddira, cresciuto a Loreto (nelle Marche) dove il padre, a sua volta calciatore, si era trasferito in cerca di lavoro. Essendo in possesso del doppio passaporto avrebbe potuto rispondere ad un’ipotetica convocazione del ct dell’Italia Roberto Mancini. Ma per lui, attaccante del Bari, il Marocco era al primo posto. E così, quando è giunta la chiamata di Regragui, non ci ha pensato un istante ad accettarla. Una storia personale che mette in risalto il senso di appartenenza, non necessariamente legato al luogo di nascita. Come quella del compagno Hakim Ziyech. “La scelta di una nazionale non si fa con il cervello, ma con il cuore. Nel mio caso non ho esitato. Sono nato in Olanda, ma mi sono sempre sentito marocchino. So che molte persone non capiranno mai questa sensazione”, ha raccontato l’attaccante.
Tra queste, anche l’ex fuoriclasse Orange Marco Van Basten, che definì “incomprensibile” la sua decisione. Sofiane Boufal, invece, ci sperava di poter esordire con la Francia, lui che è originario di Parigi, tanto da rifiutare la prima convocazione del Marocco. Nel 2016 l’allora ct Renard sarebbe però riuscito a fargli cambiare idea. Oggi è uno dei leader tecnici e carismatici del Marocco. Memorabile la scena del ballo improvvisato in campo assieme alla madre dopo l’impresa contro il Portogallo: una testimonianza del legame strettissimo tra i giocatori e le proprie famiglie. Anche per questo la nazionale africana ha attirato un numero crescente di tifosi, che col passare delle partite confidavano di poter vincere davvero il Mondiale. Nel 2026 il Marocco ci riproverà. Nel frattempo, ha riscritto la storia.