Superstizione e animali: le origini di alcune credenze
di Ugo Cirilli
Tante forme di superstizione sono radicate nella cultura popolare e diverse coinvolgono animali che, naturalmente, non hanno nessun potere soprannaturale, né positivo né negativo.
Com’è accaduto allora che alcuni di loro venissero considerati un simbolo di sfortuna e altri di buon auspicio?
Partiamo alla scoperta delle più diffuse superstizioni legate agli animali. La loro storia ci offre anche un’interessante prospettiva sulla cultura popolare di un tempo, perché permette di capirne le paure e la visione del quotidiano.
Il gatto nero
È assurdo che qualcuno si preoccupi ancora quando un gatto nero attraversa la strada, per una credenza che risale addirittura…al Medioevo.
Nel periodo della caccia alle streghe, infatti, il povero felino venne considerato un’incarnazione del male, una creatura del diavolo. Sembra tuttavia che l’associazione gatti neri-sventura avesse origini piuttosto banali: a volte i cavalli che trainavano le carrozze si spaventavano, di notte, per l’improvviso attraversamento di questi animali o l’apparizione dei loro occhi nel buio.
Questo accadeva chiaramente perché il pelo nero rendeva difficile individuarli da una certa distanza. Sarebbe nata così l’avversione per questi felini.
In un periodo di persecuzioni a sfondo religioso, papa Gregorio IX diede credito a una semplice superstizione e dichiarò in una bolla che i gatti neri erano gli animali delle streghe, presenze demoniache da eliminare. Si scatenò così, parallelamente alla caccia alle streghe, una caccia agli sfortunati gatti. La loro scomparsa ebbe però una conseguenza imprevista: i topi si diffusero più che mai. Una condizione che potrebbe aver favorito l’epidemia della peste.
La civetta
L’idea che il canto della civetta sia un lugubre presagio di lutti e sventure affonda anch’ essa le radici nel Medioevo.
Come nacque questa credenza?
In quel periodo storico i ritmi di vita erano scanditi dall’andamento della luce naturale, essendo disponibili solo le candele al calare del buio. Si tendeva ad andare a letto, quindi, con la prima oscurità serale.
Una delle poche eccezioni a questa routine erano le veglie funebri, quando le persone trascorrevano la notte sveglie nell’abitazione di un parente o conoscente defunto. Era quindi una delle poche occasioni in cui poteva capitare loro di ascoltare il verso di un animale notturno come la civetta.
Il fatto che le case delle veglie funebri fossero illuminate per tutta la notte, poi, attirava intorno a esse insetti notturni, prede delle civette. Durante le veglie, quindi, il tipico verso di questi uccelli poteva risuonare vicino alle abitazioni.
Ecco quindi svelata la probabile origine della superstizione.
L’”uccello del malaugurio”
Sarà capitato a tutti di sentir definire, anche scherzosamente, qualcuno “uccello del malaugurio” per accusarlo di portare sfortuna.
Le origini di questa espressione, ormai più un modo di dire che il segno di una reale superstizione, si perdono nella notte dei tempi.
Probabilmente risalgono alla credenza che alcuni uccelli, come la civetta del punto precedente, potessero preannunciare sventure. Quest’idea portò diverse culture popolari a ritenere che un uccello che entrava dentro un’abitazione lo facesse per portare un messaggio, probabilmente infausto. L’idea potrebbe essere perfino più antica del Medioevo: già tra gli antichi Romani si diceva che l’apparizione di un gufo alla finestra dell’imperatore Antonino Pio ne avesse preannunciato la morte.
Il lemure aye-aye
Le superstizioni sugli animali non sono certo un’esclusiva italiana: purtroppo ne troviamo in tutto il mondo. Una, ad esempio, riguarda il lemure aye-aye, un piccolo primate con il muso affusolato e grandi occhi, tipico del Madagascar. Oggi è considerato una specie in pericolo non solo per la progressiva distruzione del suo habitat, ma anche a causa di antiche credenze che in parte resistono. Secondo la cultura popolare degli indigeni Sakalava, infatti, questo animaletto sarebbe portatore di sventura e potrebbe perfino uccidere le persone nel sonno. Niente di più infondato, naturalmente: al massimo, oltre a nutrirsi di vegetali, caccia gli insetti. Eppure, la credenza lo ha reso vittima di una caccia spietata.
La coccinella
L’idea che questo piccolo e grazioso insetto porti fortuna ha origini antichissime, tanto che è difficile capire quando sia nata esattamente. Si tratta inoltre di una credenza diffusa a livello internazionale, in particolare in Europa.
È possibile che l’aspetto della coccinella, particolarmente piacevole, abbia ispirato una spontanea associazione con un’idea di benevolenza e buona sorte. Già gli antichi Romani la consideravano un simbolo della dea Giunone, mentre l’antica mitologia scandinava la associava alla dea dell’abbondanza Freya. La “simpatia” per la coccinella avrebbe quindi radici precristiane in varie culture; sarebbe stata poi inglobata nel cristianesimo, tanto che nel Medioevo la Madonna era talvolta raffigurata con un mantello rosso con sette puntini, simbolo di sette gioie o sette dolori.
Da qui l’idea che la coccinella con le sette macchioline nere sia quella che può portare più fortuna.
Il coniglio
La credenza che vede nella zampa di coniglio un amuleto portafortuna è diffusa in tutta la cultura occidentale ed esistono “talismani” risalenti all’epoca vittoriana.
Difficile anche in questo caso risalire alla nascita della superstizione e alle esatte motivazioni. Potrebbe derivare dall’ idea del coniglio come un simbolo di fecondità, trattandosi di un animale molto prolifico. O alla sua velocità nella fuga, per cui la zampa rappresenterebbe l’atto di allontanarsi dalla sventura; sembra infatti che in origine gli amuleti ideali fossero zampe di lepre.