Sean Connery, il cinema piange un’icona
di Ugo Cirilli
A volte i personaggi cult del cinema sembrano immortali, forse perché li vediamo uscire indenni dalle avventure più scatenate, dalle insidie peggiori. Capita anche che nell’immaginario comune avvenga una sorta di fusione tra il personaggio e l’attore, che sembra emanare la stessa grinta, la stessa tenacia. Così, quando viene a mancare un grande interprete di ruoli “eroici” la doccia fredda è doppia. Il cinema e i fan piangono la scomparsa dell’icona e, di colpo, l’illusione liberatoria della fantasia si sbriciola. Era un uomo in carne e ossa, vulnerabile, mortale come tutti noi, anche se i suoi film ci hanno portati ai limiti dell’impossibile.
Eppure, le interpretazioni memorabili e il carisma possono sopravvivere nel tempo. Sarà sicuramente così per Sean Connery, che ci ha lasciati il 31 ottobre all’età di 90 anni. L’attore, come spiegato dalla moglie, soffriva di demenza senile e aveva trascorso gli ultimi anni lottando duramente con la malattia. Per i cinefili però era rimasto sempre il primo James Bond cinematografico, il prof. Henry Jones Sr., padre di Indiana Jones, Guglielmo da Baskerville in “Il nome della rosa” e non solo.
Il giovane Sean Connery probabilmente non immaginava affatto una carriera da star cinematografica internazionale. Lasciati gli studi a 16 anni, si arruolò nella marina militare ma venne congedato ventenne, a causa di una grave ulcera gastrica. Esercitò allora i più svariati mestieri: dal lavapiatti al bagnino, dal muratore al bodyguard, al… verniciatore di bare. Iniziò a proporsi come modello, posando anche per l’Edinburgh Art College. Elogiato per l’aspetto atletico, nonostante i primi segni di calvizie si classificò terzo al concorso “Mister Universo” del 1953 nella sezione “alti” (sfiorava il metro e novanta), e decise di dedicarsi alla recitazione teatrale. Presto arrivarono anche i primi, piccoli ruoli televisivi e cinematografici. La svolta più importante avvenne quando Connery si presentò al casting per un nuovo film, tratto dai romanzi “spy story” di un celebre scrittore, Ian Fleming. L’attore rientrò nei sei candidati selezionati per l’audizione finale, ma la scelta cadde sul modello 28enne Peter Anthony, per la sua somiglianza con Gregory Peck. A seguito di ulteriori provini, però, il candidato si dimostrò inadatto al ruolo. Venne così convocato uno degli esclusi, proprio Sean Connery. I produttori e lo stesso Ian Fleming si convinsero: era lui l’interprete adatto per dare vita al famoso agente segreto James Bond.
Sembra che Connery, nonostante la soddisfazione, non manifestasse un grande entusiasmo iniziale. “Non è esattamente quello che avevo in mente”, avrebbe detto. Forse faticava a vedersi in un ruolo così “action”… o sopportava malvolentieri l’imposizione di un parrucchino, che avrebbe però utilizzato anche in altri film. Ma il successo del personaggio, che interpretò in 7 pellicole tra il 1962 e il 1983, si rivelò travolgente. La sua fama di attore crebbe e lo vide recitare anche in altre importanti produzioni, da “Marnie” (1964) di Alfred Hitchcock a “Assassinio sull’Orient Express” (1974) di Sidney Lumet, dall’omonimo romanzo di Agatha Christie.
Riuscì a rendere più varia la sua immagine, associata soprattutto al genere giallo/thriller/spy, recitando in film di ambientazione storica come “Robin e Marian” (1976), il fantasy “Highlander – l’ultimo immortale” (1986) e il già citato “Il nome della rosa” (1986), tratto dal romanzo bestseller di Umberto Eco.
È con un ruolo poliziesco che raggiunse però il traguardo più ambito per un attore. Per la sua interpretazione dell’agente Jimmy Malone in “The untouchables – gli intoccabili” (1987) di Brian De Palma, infatti, ricevette l’Oscar.
Certo, non tutte le sue scelte cinematografiche si sono rivelate lungimiranti. Rifiutò ad esempio i ruoli di Albus Silente nella saga di “Harry Potter” e di Gandalf ne “Il Signore degli Anelli”, apparendo invece in film di minor successo. Di certo però la sua carriera lo ha reso un’indimenticabile icona britannica del cinema, tanto che nel 2000 la Regina Elisabetta gli conferì il titolo di “Sir”, nonostante l’attore fosse un noto sostenitore dell’indipendenza della Scozia.
L’influenza di Sean Connery non si è limitata al grande schermo, sposando anche cause ambientaliste. Vegano dal 2011, aderì all’organizzazione di salvaguardia della vita marina “Sea Shepherd” e sostenne economicamente i progetti di Al Gore per la lotta al cambiamento climatico.
La sua scomparsa lascia quindi un vuoto importante nella cultura non solo cinematografica. Ma i grandi del cinema, forse, non muoiono davvero. Continuano a fissarci dal grande schermo, e molti cinefili ascolteranno ancora quella famosa frase: “Il mio nome è Bond, James Bond”.