Condimento non a parte: l’olio extra-vergine di oliva protagonista a tavola.
Ecco come si sceglie quello buono
di Virginia Torriani
Non chiamatelo semplicemente condimento. Grande protagonista della dieta mediterranea, l’olio extravergine di oliva si sta conquistando un posto di tutto riguardo sulle tavole, a casa come al ristorante. La nuova tendenza gourmet parla chiaro: l’olio è il nuovo vino. Basti pensare che nelle strutture più à la page il servizio propone già una vera e propria carta degli oli con tanto di sommelier che aiuta l’ospite nella scelta del migliore abbinamento con il piatto.
Riconoscere la qualità…
La conditio sine qua non perché l’olio sia buono è la qualità. Va da sé che saperla riconoscere è fondamentale. Come si fa? Preparatevi a dimenticare tutte quelle che sino ad oggi consideravate delle certezze.
Il colore: un bel verde intenso non è necessariamente un indicatore affidabile. I colori dell’olio dipendono dalla cultivar (la specie di pianta), dallo stadio di maturazione delle olive, dai pigmenti naturali, dalla tipologia dell’impianto di estrazione…
Di maggiore aiuto le informazioni riportate in etichetta, ma lasciate perdere quella anteriore, che spesso ammicca al consumatore con grafiche tricolori, passate direttamente a quella sul retro e imparate a leggere tra le righe, spesso microscopiche. “Prima spremitura”, ad esempio, non significa niente. Un olio buono non può che essere ricavato dalla prima spremitura delle olive, la seconda eventuale sarebbe quella ricavata dalla sansa, ovvero quell’insieme di bucce, noccioli e polpa che resta appunto dalla prima spremitura.“Spremuto o estratto a freddo” non è che un’altra banalità giacché oggi quasi tutti gli oli extravergine di oliva sono ottenuti con sistemi di frangitura o estrazione “a freddo”, ossia in cui tutto il processo non utilizza temperature superiori ai 27 °C.
Meglio cercare di capire se stiamo acquistando direttamente dal produttore (in questo caso sarà indicato il nome del Frantoio o dell’Oleificio) oppure solo dalla ditta o dalla società che lo commercializza.
“Ottenuto da oli extravergini di oliva originari dell’Unione Europa” significa che il mercato comunitario è bello, ma non sempre buono. L’olio in questione sarà ricavato da miscele, che “tagliano” una percentuale di olio extravergine italiano con altri oli provenienti da altri Paesi come Spagna, Portogallo e Grecia.
La presenza di loghi, quali DOP (denominazione d’origine protetta) o IGP (indicazione geografica protetta), rilasciati dall’Unione Europea, sono importanti poiché attestano la qualità o l’origine geografica del prodotto. In alternativa, come da disposizione nazionale deve figurare in etichetta la frase “Prodotto in Italia da olive coltivate in Italia”.
Attenzione ancora alla scritta “Prodotto e confezionato da… seguito dalla ragione sociale” diversa da “Prodotto confezionato da…” Nel primo caso, infatti, l’articolo di congiunzione indica, in un’unica figura, sia il produttore che il venditore dell’olio, mentre, nel secondo, solo il venditore.
… E saperla conservare!
Anche quando la produzione è a regola d’arte, non sempre l’olio è di qualità. L’ olio buono ha tre grandi nemici: luce, aria e calore. Anche una volta nella dispensa del consumatore l’olio non ha finito il proprio ciclo di vita, quindi occorrerà conservarlo accuratamente, meglio se al riparo dalla luce, con buona pace delle tradizionali oliere trasparenti col tappo in sughero.