In ricordo di Gigi Proietti, maestro della risata
di Ugo Cirilli
Se n’è andato nella stessa data in cui era nato, il 2 novembre. Gigi Proietti ironizzava sempre sulla strana coincidenza che la sorte gli aveva riservato, un compleanno nel giorno dell’omaggio ai defunti. L’attore e comico è scomparso dopo aver tagliato il traguardo degli 80 anni. Ricoverato in una clinica romana per un grave scompenso cardiaco, prima del malore si era dimostrato sempre attivo, lucido, attento all’attualità. A marzo, nel pieno della prima ondata della pandemia, assieme alla Polizia aveva rivolto un video-appello ai suoi coetanei, invitandoli a rispettare le regole ed essere un esempio per la collettività. “Restiamo a casa” diceva “perché più gente obbedisce a questa disposizione e prima finisce tutto, e potremo andare ‘ndo ce pare”. Il tocco romanesco rendeva più diretto il messaggio, proiettando la mente a quel “dopo” che tutti attendiamo, quando l’emergenza sarà un ricordo. Anche lui, forse, si immaginava di nuovo libero di passeggiare per le vie della sua Roma, la città che ha visto nascere e crescere il suo astro artistico.
Da ragazzo si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza, ma interruppe gli studi a pochi esami dalla laurea. Nasceva in lui una nuova consapevolezza, l’idea che la sua strada fosse altrove. Per mantenersi da studente, Proietti cantava nei night club della Capitale. Iniziò così, probabilmente, a sentirsi a suo agio sul palcoscenico. L’approccio con il teatro nacque nello stesso periodo, inizialmente senza grande convinzione: il futuro attore provò a iscriversi, per curiosità, al Centro teatrale di ateneo della Sapienza. Quella dimensione espressiva gli risultò subito congeniale: per un po’ si divise tra prove teatrali, studio e concerti serali. Fino alla decisione di abbandonare il campo della giurisprudenza, suscitando perplessità e apprensione nei genitori; in particolare il padre, impiegato, ricordava sempre al figlio la sicurezza di un impiego fisso.
Nei primi anni ’60 giunsero i primi successi, con Proietti sempre più apprezzato per le sue capacità interpretative. Nel 1968 si convinse definitivamente di poter vivere di recitazione, grazie agli ottimi riscontri come attore nella tragedia teatrale “Il dio Kurt” di Alberto Moravia. Quel trionfo gli permise di ottenere un altro ruolo importante, sostituendo Domenico Modugno nella commedia musicale “Alleluja brava gente”, con Renato Rascel. In quell’occasione Proietti, che iniziava a essere noto anche per i primi ruoli cinematografici, capì che era possibile coniugare una vena ludica, divertente, con la qualità artistica.
Negli anni ’70 si susseguirono i suoi one-man show teatrali, come l’apprezzatissimo “A me gli occhi, please”, e i ruoli cinematografici sempre più importanti, da “Le farò da padre” (1974) di Alberto Lattuada alla commedia “Casino” (1977) di Sergio Citti. Non mancò nemmeno un successo radiofonico, con la trasmissione “Gran varietà”. Ormai attore noto e stimato, divenne anche direttore del Teatro Brancaccio di Roma, avviando un laboratorio per i giovani.
Nonostante il successo da icona della nuova commedia italiana, con film come “Febbre da cavallo” (1976), gli anni ’80 non riservarono all’attore grandi trionfi cinematografici. In quella decade recitò in poche pellicole, apparendo però in diversi programmi televisivi. Proprio nella TV vivrà un nuovo boom di popolarità negli anni ’90, dalle prime sitcom italiane come “Villa Arzilla” (da lui diretta, nel 1990) a “Italian restaurant” (1994), a una delle sue più note intepretazioni: il Maresciallo Rocca dell’omonima fiction avviata nel 1996, la cui ultima puntata venne seguita da quasi 16 milioni di spettatori.
Negli anni duemila l’attore ha mantenuto vive le sue molteplici vocazioni artistiche. Oltre ad alcune stagioni de “Il Maresciallo Rocca”, sul piccolo schermo lo abbiamo visto in altri ruoli davvero vari: da San Filippo Neri nella fiction “Preferisco il Paradiso” alla miniserie “Il signore della truffa”, alla giuria nei programmi talent “La pista” e “Tale e quale show”. Tra il 2014 e il 2018 ha vestito i panni di un personaggio che ricordava l’acume investigativo e la simpatia del Maresciallo: il giornalista Bruno Palmieri, che risolveva vecchi casi di cronaca nera nella fiction “Una pallottola nel cuore”. Non possiamo non menzionare la sua ultima interpretazione, ennesima dimostrazione di versatilità: il Mangiafuoco del “Pinocchio” di Matteo Garrone, nei cinema a dicembre dell’anno scorso.
Anche la passione per il teatro non si è mai spenta: ricordiamo ad esempio la sua direzione del Globe Theatre di Villa Borghese a Roma, con la rappresentazione di testi shakespeariani interpretati da giovani attori. Un teatro che, adesso, sarà intitolato proprio a Gigi Proietti.
Ci lascia quindi un interprete davvero poliedrico, che si divideva tra la dimensione artistica e l’intimità degli affetti familiari. Dai primi anni ’60 era legato alla svedese Sagitta Alter, conosciuta quando lei era una guida turistica a Roma e lui un cantante. Uniti da un rapporto solidissimo pur non essendosi mai sposati (“Siamo antichi concubini”, diceva l’attore), i due hanno avuto due figlie, Carlotta e Susanna.
Al dolore dei familiari per la scomparsa si è unita tutta Italia e la città di Roma, in particolare, ha reso il suo omaggio con iniziative speciali. Diversi murales nella Capitale raffigurano il volto di Proietti che ci fissa ancora, con espressione sorniona e bonaria: ad esempio, quello di 15 metri sul palazzo Ater di via Tonale, commissionato allo street artist Lucamaleonte da Ater e Regione in collaborazione con l’As Roma. Il 5 novembre i funerali si sono svolti in forma ristretta per le normative anti Covid, ma i romani hanno partecipato con un commosso applauso dalle finestre e dai balconi. L’attore Pierfrancesco Favino ha dedicato al collega scomparso un sonetto in romanesco. “All’angeli là sopra faje fa’ du’ risate/ai cherubini imparaje che so’ le stornellate”, recitano due versi. Ma anche qui sulla Terra, possiamo scommetterci, l’ironia di Gigi continuerà a risuonare a lungo.