10 anni dal terremoto e dallo tsunami che devastarono il Giappone
di Ugo Cirilli
Era l’11 marzo 2011 quando il Giappone venne colpito dal più forte terremoto di tutta la sua storia. Al largo della costa della regione di Tōhoku, alle ore 14:46 si verificò una violentissima scossa sismica di magnitudo 8,9-9,0, che originò uno tsunami devastante.
Ondate della velocità di circa 750 km/h, alte anche più di 10 metri, si abbatterono sulle coste colpendo in particolare le prefetture di Miyagi e di Iwate, dove si osservò un’onda dell’altezza di oltre 40 metri.
Persone, mezzi, edifici, tutto venne travolto dalla furia di uno dei maremoti più distruttivi della storia. Oggi risultano 15.703 vittime accertate, 5.314 feriti e 4.647 dispersi. Come è noto, inoltre, il sisma creò gravi danni ad alcune centrali nucleari, soprattutto quelle di Fukushima I e Fukushima II. Nonostante la disattivazione dei reattori, a seguito della scossa si verificò un surriscaldamento allarmante a causa di un danno al sistema di raffreddamento. Nei giorni successivi altre centrali vennero colpite da guasti e incidenti, tra i quali un’esplosione che innescò un incendio. La situazione era così drammatica da portare le autorità a proclamare l’emergenza nucleare per il rilascio di radiazioni, classificando la situazione al livello 7 della scala INES del rischio negli incidenti nucleari. Lo stesso, per intendersi, del disastro di Černobyl’. 110.000 persone nel raggio di 30 km dalla centrale di Fukushima vennero evacuate.
La tragedia attirò l’attenzione dei media di tutto il mondo e la solidarietà internazionale, dagli USA all’Australia, dalla Cina all’Italia, con l’invio di squadre di soccorso, mezzi e risorse.
Tra tanta disperazione, si riaccendeva ogni tanto la speranza quando venivano ritrovati alcuni superstiti: è il caso, ad esempio, dei passeggeri e del personale di quattro treni che si credevano spazzati via dalle ondate. Le circa 70 persone a bordo, date inizialmente per disperse, riuscirono a salvarsi trovando rifugio in alcune scuole o allontanandosi dall’area.
Il Giappone ha commemorato il decimo anniversario del disastro con un minuto di silenzio, osservato anche dall’Imperatore Naruhito nel Memoriale di Tokyo. La ferita per quel dramma non si è ancora rimarginata, come racconta un documentario italiano presentato anche negli USA: “Koi” di Lorenzo Squarcia, del 2020. Prende il nome dalla carpa simbolo di tenacia e forza nella cultura nipponica, raccontando le vicende di alcuni volontari che cercano ancora resti ed effetti personali delle vittime mai ritrovate. In particolare, “Koi” si sofferma su due di loro: Tomohiro Narita, che dopo un passato difficile decide di dedicarsi al volontariato e Yasuo Takamatsu, autista ed ex militare che nella catastrofe perse la moglie. Due vite molto diverse unite dalla stessa causa, portare conforto a chi conserva solo il ricordo dei cari scomparsi.
Girando il documentario la troupe italiana ha incontrato la grande disponibilità di tante persone, instaurando un dialogo che andava oltre le barriere linguistiche e culturali. Perché il dolore a volte permette di riscoprire un’umanità comune, un sentimento di vicinanza al prossimo che parla la lingua delle emozioni.