L’aquila reale, temibile cacciatrice e partner fedele
di Ugo Cirilli
Con il suo aspetto imponente, le grandi ali, il becco e gli artigli affilati, l’aquila reale suscita al contempo timore e fascino. Diffusa in Europa, Asia, Nord America, Nordafrica e Giappone, in Italia può essere avvistata sulle Alpi, sugli Appennini e sulle isole maggiori.
Difficile confonderla: l’apertura alare può superare i 2 m, la lunghezza raggiunge a volte il metro, il piumaggio è bruno ma ha sfumature più chiare, quasi dorate sulla testa. Per questa particolarità, il suo nome scientifico è aquila chrysaetos, “aquila d’oro”.
Nidifica sulle pareti rocciose intorno ai 1700-2200 m d’altitudine e lascia il nido per cacciare, sorvolando vaste aree grazie alla sua muscolatura potente. Ha una vista molto acuta, con cui riesce a individuare la preda anche da altezze notevoli. Si nutre di mammiferi di piccola taglia come lepri, conigli selvatici e marmotte, di uccelli e di rettili; per procurarsi il cibo riesce a compiere picchiate a velocità impressionanti, che possono raggiungere i 200 km/h.
La fedeltà dell’aquila nella vita di coppia
Se la reputazione di micidiale predatore dell’aquila reale è fondata, meno nota è forse la sua natura di partner fedele. Maschio e femmina si “corteggiano” con uno spettacolare volo rituale chiamato “danza del cielo”, che sembra quasi una lotta e impegna entrambi per giorni. In seguito, formano una coppia che rimane unita e fedele per tutta la vita. Le uova, solitamente due, vengono deposte tra gennaio e maggio, a seconda delle temperature; quando si schiudono il maschio, che nel periodo precedente è piuttosto assente, torna ad occuparsi della femmina e dei piccoli portando loro il nutrimento necessario. In genere sopravvive un solo piccolo, più raramente entrambi. L’aquilotto si lancia nel suo primo volo all’età di 75 giorni; intorno ai 170 giorni raggiunge l’autonomia. Tra i 3 e i 6 anni d’età diviene capace di riprodursi.
L’aquila tra mito e simbolismo religioso
Con il suo aspetto maestoso, l’aquila ha affascinato l’uomo fin dai tempi antichi, ispirando miti e leggende. Gli antichi Romani la consideravano un simbolo di Zeus e del suo potere, per i Babilonesi Ningirsu, il dio delle tempeste, aveva le sembianze di un’aquila con due teste. Per gli Egizi il rapace rappresentava l’anima, ed era quindi raffigurato in alcuni amuleti funebri: si riteneva che avrebbero facilitato il volo dello spirito verso il mondo ultraterreno. Anche nell’iconografia cristiana l’aquila assume un significato spirituale. Le aquile, animali che volano particolarmente in alto nel cielo, apparivano un simbolo della vicinanza alla luce divina, simboleggiata dal sole.
Il pericolo che minaccia l’aquila reale
Oggi l’aquila reale è ritenuta a “rischio minimo” di estinzione, secondo la classificazione ufficiale dello stato di conservazione delle specie animali. In realtà non se la passa sempre così bene. La LIPU sottolinea infatti che questi grandi rapaci sono compresi nella categoria “near threatened”, “quasi minacciati”, poiché l’espansione delle attività umane mette talvolta a rischio la loro riproduzione. In passato, ad esempio, in Val d’Aosta sono state osservate aquile che nidificavano all’altitudine straordinaria di 2500-2700 m, probabilmente disturbate dall’uomo. L’associazione si appella quindi agli operatori del turismo, perché attività come il trekking e l’arrampicata siano svolte sempre nel rispetto delle regole e della natura.