Lo squalo, antico abitante dei mari
di Ugo Cirilli
Sembra che gli squali, o quantomeno i loro progenitori, siano apparsi sul nostro Pianeta prima dei dinosauri. Da allora, l’evoluzione ha dato origine a varie specie adattate ad ambienti e stili di vita diversi.
Certo, la prima immagine che la parola “squalo” evoca è quella di un predatore micidiale e veloce. Come vedremo, però, questo cliché non vale per tutte le tipologie.
Ma partiamo dalla categorizzazione: lo squalo, chiamato a volte “pescecane”, è un pesce? Sì, appartiene ai pesci ossei: il suo scheletro è formato da cartilagine, un tessuto che ha una certa flessibilità.
Tutta la struttura dello squalo è improntata all’idrodinamismo e al nuoto rapido: dalla forma affusolata alla coda con un lobo più lungo, che permette rapidi scatti.
L’animale riesce così a inseguire facilmente le sue prede. Non tutte le specie, però, sono carnivore: il gigantesco squalo balena, ad esempio, si ciba solo di plancton.
Gli squali più noti nell’immaginario comune, come lo squalo bianco e lo squalo martello, sono invece esperti cacciatori dei mari.
Nella ricerca della preda, questi pesci cartilaginei si avvalgono di un “equipaggiamento” davvero sofisticato che la natura ha regalato loro.
Oltre a un olfatto potentissimo, capace di percepire l’odore del sangue a km di distanza, lo squalo conta sui neuromasti e sulle ampolle di Lorenzini.
I primi sono cellule che avvertono variazioni anche minime nella pressione dell’acqua. Le seconde si trovano soprattutto nella testa e appaiono come pori; si tratta di organi di senso che rilevano i campi elettrici originati dagli altri animali.
Così, lo squalo arriva a percepire la presenza di una possibile preda prima ancora di vederla.
Altra caratteristica impressionante degli squali carnivori sono sicuramente i denti: aguzzi, si trovano disposti a file, per un morso davvero micidiale.
Mascella e mandibola possono avere dalle 2-3 alle 15 file di denti, che non sono tuttavia fortissimi: l’animale può perderli facilmente con l’uso. Lo squalo bianco, ad esempio, cambia fino a… 3000 denti nel corso della sua vita.
Con queste caratteristiche, comprensibilmente gli squali si sono imposti nell’immaginario comune come creature pericolose, perfino terrificanti.
Una reputazione che ha contribuito al successo del thriller “Lo squalo”, diretto nel 1975 da un regista 28enne allora poco noto, Steven Spielberg.
Sorge quindi spontanea una domanda: quanto sono pericolosi gli squali per l’uomo? Delle 500 specie esistenti, si stima che solo una decina rappresentino una minaccia per noi.
Anche queste, però, non sembrano “gradirci” particolarmente: se possono, tendono ad evitarci e prediligere altre prede. Comunque, al sub che si imbatte in uno squalo è sempre consigliata la massima prudenza: ad esempio evitare il contatto e i movimenti troppo bruschi.
Per “par condicio”, dobbiamo citare un dato: per ogni persona uccisa da uno squalo, l’uomo uccide due milioni di questi animali.
Il vero pericolo, a quanto pare, siamo noi. Pratiche come la pesca indiscriminata per usi alimentari minacciano la sopravvivenza di questi pesci dalle origini antiche.
Come per altre specie, le politiche di salvaguardia saranno determinanti per il loro futuro.