Il vino in Italia, tradizioni e innovazione
di Ugo Cirilli
Settembre è il mese della vendemmia e del vino, un prodotto che in Italia vanta una storia antica e ricca di tradizioni.
A diffondere la coltivazione della vite furono i Greci, che introdussero nuove varietà e sperimentazioni. Si ritiene che alcuni tipi di uva tuttora vinificati, in particolare nel Sud, risalgano proprio ai tempi della colonizzazione greca (VII sec. a. C. circa). I Romani, entrati in contatto con la civiltà ellenica, ne appresero anche le tecniche di viticoltura. Furono loro a diffondere il vino e la sua cultura anche oltre i nostri confini, nel resto dell’Europa.
Tra i Romani si usava bere vini allungati con l’acqua, poiché si riteneva che il contenuto di alcool fosse eccessivo a causa delle vendemmie tardive del tempo. Una figura detta “magister bibendi” (“maestro del bere”) o “rex convivii” (“re del convivio”) stabiliva, durante ogni banchetto o festeggiamento, con quanta acqua allungare il vino e quanti brindisi compiere.
Nel Medioevo la viticoltura, declinata dopo la fine dell’Impero Romano, venne sviluppata e migliorata soprattutto nei monasteri. Questa tradizione conobbe un nuovo “boom” nel Rinascimento anche grazie ai commerci marittimi; così, la cultura del vino nel nostro Paese iniziò a ritagliarsi di nuovo un ruolo di primo piano.
Dopo la ripresa decisiva dell’800, nel ‘900 siamo arrivati a una tappa di grande importanza: le etichette di origine controllata, una garanzia di qualità.
La vendemmia ieri e oggi
L’idea della vendemmia come momento non solo di lavoro ma anche di festa ha origini antiche: già tra i Romani veniva celebrata con il nome di “Vinalia rustica”. L’uva era raccolta in grandi vasche per essere pigiata e ogni altra attività lavorativa veniva sospesa. Le famiglie potevano così ritrovarsi e dedicare feste al dio Bacco.
In età moderna questo evento, fondamentale nella cultura contadina delle aree vinicole, è stato spesso inglobato nelle celebrazioni cristiane, associato magari al ringraziamento a specifici santi.
Sicuramente la vendemmia oggi è cambiata molto, grazie alla tecnologia: basta pensare che un tempo la raccolta manuale era particolarmente difficile e richiedeva perfino la scala, perché la vite cresceva appoggiata al tronco di un albero, in gergo detto “testucchio”! L’uva veniva poi trasportata alle cantine su un carro trainato dai buoi. Oggi, la meccanizzazione ha semplificato il procedimento, eliminando però parte del carattere conviviale dovuto al lungo lavoro collettivo. La raccolta meccanica si avvale delle macchine vendemmiatrici che agiscono a scuotimento verticale o orizzontale, un procedimento sicuramente rapido. Tuttavia sopravvive ancora l’approccio manuale, per produrre vini di selezione o spumanti metodo classico che richiedono una delicatezza maggiore.
Il mondo della vendemmia è vario, con alcune curiosità: tra queste il “vino di ghiaccio”, da vendemmie effettuate in inverno, quando i grappoli congelano. Si tratta di un prodotto caratterizzato da una spiccata dolcezza bilanciata da una certa acidità. Un’altra particolarità è l’uva apirene, cioè senza semi, selezionata e coltivata proprio per questa sua caratteristica (l’uva sultanina ne è un esempio).
I numeri del vino in Italia
L’Italia occupa un ruolo di spicco a livello mondiale nel business dei vini: nel 2018 si è classificata primo Paese al mondo per la produzione con 48,5 milioni di ettolitri, superando la principale “sfidante”, la Francia (46,4 milioni di ettolitri). Il 17% della produzione mondiale è italiano.
Ai ricavi derivanti dal commercio dobbiamo poi sommare quelli dei settori paralleli legati alla viticoltura, dalle attività classiche come gli agriturismi presso le aziende vinicole e i tour enogastronomici, a quelle più particolari come le SPA dove fare “vinoterapia” (trattamenti di benessere come i bagni nel vino e i massaggi con l’uva).
Quali sono i vitigni più diffusi in Italia? Svetta il Sangiovese (10% della superficie coltivata per l’uva), seguito da altre popolari varietà come il Montepulciano, il Barbera, il Catarratto bianco siciliano e il Trebbiano toscano. Nel nostro Paese si contano ben 355 vitigni autoctoni, un numero davvero sorprendente.
Il settore della viticoltura italiana, quindi, è davvero ricco e variegato e si rivela sempre più un potente fattore di attrazione turistica. Del resto, in un semplice bicchiere si possono condensare storia, natura, paesaggio e tradizioni.