Dalla Lettera 22 a oggi: quanto è cambiato il nostro modo di scrivere
di Ugo Cirilli
L’essere umano ha una straordinaria particolarità: riesce a rappresentarsi mentalmente concetti e idee, ragionando su qualcosa di reale anche senza averlo davanti agli occhi.
Pensieri, pensieri, pensieri… che si traducono in “parole, parole, parole”, come dice una nota canzone. Metterli in ordine, spesso, richiede di trascriverli: un’esigenza che la nostra specie ha avvertito da tempi davvero remoti.
Raccontare tutte le trasformazioni della scrittura richiederebbe forse un libro intero, quindi consideriamo un periodo: dalla creazione di una macchina da scrivere iconica a oggi!
Lettera 22 e Valentine, due icone della scrittura e del design
L’idea di una “macchina per scrivere” ha radici davvero lontane. All’inizio dell’Ottocento nacque il tacheografo, creazione dell’italiano Pietro Conti, una sorta di “precursore”. Nello stesso periodo, il Conte Agostino Fentoni aveva realizzato un’invenzione simile. Nel 1855 un altro nostro connazionale, Giuseppe Ravizza, brevettò quella che è ritenuta la prima macchina da scrivere: il “cembalo scrivano”, che assomigliava appunto allo strumento musicale. Insomma, l’Italia ebbe un ruolo di spicco nella storia di questo strumento rivoluzionario, anche se la prima commercializzazione avverrà in America dal 1867, con i prodotti della ditta Remington & Sons. Furono le prime macchine da scrivere ad avere la tastiera QWERTY, tuttora in uso sui computer.
L’Italia tornò protagonista senza dubbio nel ‘900 grazie alla Olivetti, che realizzò l’iconico modello “Lettera 22”, progettato nel 1950.
Ebbe un successo travolgente e, nel 1959, l’Illinois Institute of Technology la proclamò addirittura “Miglior prodotto di design del secolo”. Progettata dal designer e architetto Marcello Nizzoli in collaborazione con l’ingegnere Giuseppe Beccio, aveva dimensioni contenute che, nonostante i 4 kg di peso, agevolavano il trasporto. Era inoltre venduta con una valigetta in cartone o similpelle, che facilitava ulteriormente gli spostamenti. Una leva permetteva di regolare la posizione del nastro, scegliere di passare dal colore nero al rosso o all’assenza di inchiostro (utile ad esempio per battere copie con carta carbone).
La tastiera non era QWERTY ma QZERTY e mancavano i numeri “1” e “0”. Per semplificare, li si otteneva con la “l” (o la “i” maiuscola) e la “O”. Mancava anche l’accento, per cui ogni lettera da accentare era scritta seguita da un apostrofo. Un’abitudine che qualcuno purtroppo segue anche oggi, quando avremmo sistemi di scrittura più hi tech (e tutti gli accenti utili)!
La Lettera 22 colpì il cuore di molti nomi celebri della scrittura e del giornalismo: da Pier Paolo Pasolini a Enzo Biagi e Indro Montanelli, che ne aveva diverse. Un esemplare è oggi esposto al MoMa di New York, tra gli oggetti più iconici del design italiano di sempre.
Un’altra tappa storica per Olivetti fu la Valentine, nata dalla collaborazione tra l’architetto e designer Ettore Sottsass e Perry A. King. Nota come “La rossa portatile”, ne vennero realizzati anche esemplari bianchi, verdi e blu, oggi pezzi da collezione praticamente introvabili.
La Valentine aveva una caratteristica unica: era un tutt’uno con la valigetta che la conteneva, formata da componenti pieghevoli che si chiudevano proteggendola.
Anche questo oggetto fa parte della collezione del MoMa: un ennesimo riconoscimento al design tricolore.
Quando andò in pensione la macchina da scrivere?
Il declino della macchina da scrivere iniziò con la diffusione massiccia del personal computer come strumento di scrittura.
Un tramonto annunciato già negli anni ’70, con i primi PC con software di videoscrittura: ad esempio, il microcomputer Apple II del ’77.
Tuttavia l’ultima fabbrica di macchine da scrivere, l’indiana Godrej & Boyce, ha resistito fino al 2011. Come spiegato dal direttore Milind Dukle, fino al 2009 ha prodotto 10-12.000 macchine all’anno, ma le richieste prevalenti erano ormai quelle dei collezionisti.
Oggi, l’era del touchscreen
Quando credevamo di aver visto tutto in termini di scrittura elettronica, è arrivata un’altra rivoluzione: il touchscreen.
Ormai siamo abituati ai tablet e agli smartphone moderni, in cui digitiamo non su tasti “fisici”, ma tramite rappresentazioni “virtuali” di lettere e numeri. Tutti conoscono l’Iphone, apparso sul mercato nel 2007. Ma il touch era già in circolazione, anche se fino ad allora aveva suscitato meno clamore: l’IBM Simon, del 1992, è ritenuto il primo telefono con schermo sensibile al tocco e l’Università di Toronto progettò un sistema multi-touch nel 1982.
Se vogliamo risalire al padre di questa tecnologia, dobbiamo citare E.A. Johnson, inventore inglese che sviluppò il primissimo touchscreen nel… 1965! Si trattava di un sistema per il controllo del traffico aereo, brevettato nel 1969.
L’amico correttore
Un grande alleato della scrittura su smartphone e tablet, sicuramente, è il correttore automatico, nonostante i comici errori che talvolta causa.
Il primo sistema di tale tipo era destinato alla scrittura su PC, incluso in Word 6.0 di Microsoft nel 1993. Curiosamente, non confrontava le parole con un dizionario, ma…con una lista di refusi comuni. Tanti ricorderanno poi il sistema T9 per cellulari del 1995, che velocizzò molto l’invio di sintetici sms.
Su smartphone e tablet è approdata quindi una tecnologia con anni di storia alle spalle, raffinata ulteriormente. Secondo una statistica di Jeong Ho Kim, docente di ingegneria alla Northern Illinois University, la percentuale di accuratezza dei correttori per touchscreen è dell’84%.
Insomma, se scrivete qualche refuso non lamentatevi: siete proprio distratti. Disponete della migliore tecnologia! Ormai ci sono proprio poce giustifcazionni per li erori di battiturra…