18 settembre 1970, moriva Jimi Hendrix
di Ugo Cirilli
Il 18 settembre 1970 ci lasciava Jimi Hendrix, uno dei più iconici e influenti chitarristi elettrici di sempre.
Nel 2011 la rivista musicale Rolling Stone lo ha inserito al primo posto nella lista dei 100 migliori protagonisti della sei corde. Per il magazine inglese Total Guitar è al secondo posto, preceduto solo da Brian May dei Queen.

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Ma chi era Jimi Hendrix e come arrivò a imprimere il suo nome nella storia del rock?
Nato nello Stato di Washington nel 1942, di origini afroamericane e native, James Marshall Hendrix visse infanzia e adolescenza in un clima non facile.
Di condizioni economiche modeste, sembra che si costruì da solo il primo strumento musicale: una scatola di sigari con un elastico teso. In seguito ricevette in regalo una chitarra elettrica, ma dovette adattarsi essendo mancino: era uno strumento per destrimani.
Imparò pertanto a suonarla rovesciata, un approccio che avrebbe mantenuto. Perse la madre quando aveva solo sedici anni e interruppe gli studi: iniziò una vita vagabonda da musicista precario, fino a quando fu fermato dalla Polizia di Seattle al volante di un’auto rubata.
Detenuto per alcuni giorni, preferì arruolarsi nell’esercito piuttosto che scontare un ulteriore periodo di reclusione. Quei trascorsi turbolenti non scalfirono la sua passione per la musica, che continuò a crescere assieme alla maestria.
Conclusa l’esperienza militare tornò a esibirsi, divenendo presto un nome conosciuto. Formò la sua band, i King Kasuals, trasferendosi a Nashville e contribuendo ad animare la famosa scena rhytm & blues locale.

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I tour e i primi successi
Negli anni ’60 si spostò in tour negli States, esibendosi nel cosiddetto Chitlin’ Circuit: una rete di locali particolarmente aperti verso musicisti, intellettuali e artisti afroamericani, che trovavano un pubblico nonostante le segregazioni razziali.
In quell’ambiente la stella di Hendrix iniziò a brillare sempre più, mentre lui e la band aprivano i live di artisti di spicco come Solomon Burke e le Supremes.
Nacque così nel chitarrista l’idea di tentare una svolta: si trasferì a New York in cerca di stimoli e nuove opportunità. Queste non tardarono ad arrivare: collaborò con la Isley Brothers Band e conobbe Linda Keith, allora compagna di Keith Richards dei Rolling Stones, che lo incoraggiò presentandolo al produttore britannico Chas Chandler.

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Da lì a poco, a Londra sarebbe nata una storica band: la Jimi Hendrix Experience, che oltre al chitarrista-cantante vedeva Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria.
La svolta della Experience e i live “shock”
Il sound di Jimi Hendrix e della sua band, basato sull’uso di innovativi effetti come il wha-wha, sulle distorsioni aggressive di chitarra e su un’attitudine live scatenata, colpì profondamente pubblico e critica. Vennero scritturati dalla casa discografica Track Records, la stessa degli Who. Nacquero brani iconici come “Purple haze” e “The wind cries Mary”.
Tra le memorabili esibizioni, due in particolare sono rimaste nella storia della musica.
Nel 1967 al Monterey International Pop Festival, in California, Hendrix portò ai limiti estremi il suo strumento, suonandolo perfino con i denti, con l’asta del microfono e dietro la schiena, fino a incendiarlo e scagliarlo contro gli amplificatori ricavando strazianti suoni distorti.
La chitarra finì prevedibilmente in frantumi, oggi conservati all’Experience Music Project Museum di Seattle. Nel 1969, a Woodstock, Hendrix si esibì in una rivisitazione per chitarra dell’inno americano, interrotto da rumori del distorsore che simulavano spari e bombardamenti: una protesta simbolica fortissima contro la guerra in Vietnam.

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Una carriera travagliata
Se l’artista live era ormai un’icona vivente, il dietro le quinte degli album si rivelava spesso problematico.
Il chitarrista mostrava un notevole perfezionismo in studio e le tensioni con il bassista Noel Redding posero fine alla Experience.
Hendrix venne fermato per possesso di stupefacenti, pur sostenendo che la droga fosse stata introdotta da altri nell’auto.
Nel frattempo cambiavano le formazioni, fino a una nuova, famosa line up: la Band of Gypsys che avrebbe registrato l’omonimo album, con Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria.
Un’esperienza conclusa nel 1970, quando Hendrix ebbe un’accesa discussione con una fan che chiedeva di ascoltare il brano “Foxy Lady”. L’artista, evidentemente alterato, rifiutò di proseguire il live e insultò la spettatrice finché non venne letteralmente allontanato dal palco.
Era l’inizio di un pericoloso declino; mentre si succedevano i cambi di formazione, Hendrix continuava a mostrare segni di instabilità.
Il pubblico si fece sempre meno tollerante, arrivando a fischiarlo per un ritardo al festival tedesco di Fehmarn. Nel settembre di quell’anno, il musicista che aveva rivoluzionato l’approccio alla chitarra elettrica si spense, a causa di un cocktail di alcool e tranquillanti. Non aveva ancora compiuto 28 anni.
Se la sua vita si è interrotta prematuramente, l’eredità artistica di Jimi Hendrix rimarrà incancellabile. Schiere di musicisti hanno attinto alle sue sperimentazioni e si sono formate con quel sound unico, rivoluzionario, un incontro tra rock, echi blues ed effettistica travolgente.