Byron e Shelley, poeti romantici
di Ugo Cirilli
Verso la fine del ‘700 si diffuse in Europa un movimento artistico e letterario che metteva al centro i sentimenti e l’immaginazione: il Romanticismo. Nasceva come reazione all’Illuminismo, la corrente di pensiero settecentesca che esaltava la razionalità. Per alcuni artisti, musicisti, scrittori e poeti, quella visione reprimeva la parte dell’animo umano più incline a sognare, a vivere emozioni, a cercare un appagamento anche spirituale.
Per i romantici i sentimenti e l’immaginazione erano necessari per capire il mondo e la vita; l’arte e la letteratura dovevano valorizzare questa dimensione. Tra le principali personalità del Romanticismo troviamo i poeti Byron e Shelley.
Due animi ribelli tra poesia e inquietudine
George Byron (1788-1824) era nato in una nobile famiglia, la cui fortuna venne intaccata dai debiti del padre. Questo non impedì al giovane di studiare e compiere il Grand Tour, il viaggio in Europa allora in voga tra i nobili. Presto iniziò però a suscitare scandali e polemiche nell’alta società inglese.
Le sue prime poesie vennero giudicate troppo audaci, inoltre il giovane prese posizioni nette contro l’aristocrazia da cui proveniva, contestando la repressione del movimento operaio luddista. Infine, ad aggiungere ulteriore scandalo, Byron viveva avventure sentimentali turbolente con uomini e donne.
Una parte della critica e dei lettori iniziava però ad apprezzarlo, grazie a pubblicazioni come il poema “Childe Harold’s Pilgrimage”. Di ispirazione in parte autobiografica, racconta le vicende di due giovani che, stanchi di una vita dedicata ai piaceri e all’ozio, iniziano a cercare una nuova dimensione viaggiando. Tuttavia, il clima di disprezzo e pettegolezzi che si scatenava attorno a Byron in Inghilterra lo spinse a partire per l’estero.
Percy Bysshe Shelley (1792-1822) veniva da un percorso simile. Anche lui di nobili origini, già durante gli studi suscitò la disapprovazione del suo ambiente sociale per i suoi scritti e le sue idee. Venne espulso da Oxford per un libretto intitolato “La necessità dell’ateismo”: a differenza di altri romantici, infatti, Shelley criticava i concetti religiosi.
A soli 19 anni fuggì in Scozia con la giovane Harriet Westbrook, che rifiutò però le idee del poeta sull’amore libero. Inseguendo i suoi ideali di giustizia, Shelley si recò in Irlanda per difendere i diritti dei lavoratori più poveri.
Con Harriet ebbe due figli ma l’unione si spezzò quando il poeta conobbe Mary Godwin, figlia del filosofo William Godwin: la scrittrice che, con il nome di Mary Shelley, sarebbe divenuta famosa per un classico della letteratura gotica, “Frankenstein”.
Con lei Shelley visitò vari Paesi, compiendo un avventuroso viaggio fino alla Francia e alla Svizzera a cavallo di muli o asini. In Italia il poeta compose la sua opera più nota, il “Prometeo liberato”: un dramma lirico che trasforma il mito greco in una critica ai tiranni.
L’incontro
Le vite dei due poeti erano destinate a incrociarsi. Nel 1816 Shelley soggiornava sul lago di Ginevra con Mary e la sorellastra di lei, Claire, che aveva avuto una relazione con Byron ed era incinta. Poiché Byron si trovava nelle vicinanze, a villa Diodati, gli Shelley lo avvicinarono perché riprendesse contatto con Claire assumendosi le sue responsabilità. I rapporti del piccolo gruppo di creativi si consolidarono e proprio in quel periodo Mary Shelley iniziò a scrivere il suo “Frankenstein”.
Le loro strade si divisero ancora, per poi riunirsi nel nostro Paese. L’irrequieto Byron si era trasferito in Italia già in quell’anno, imparando la lingua, conoscendo Silvio Pellico e Vincenzo Monti e vivendo nuove, scandalose relazioni con donne sposate. Tra queste la giovane Teresa, moglie di un conte, con la quale fuggì. Gli Shelley incontrano di nuovo l’amico a Venezia, convincendolo ad occuparsi della figlia avuta da Claire, Alba, di cinque anni. La bambina morirà di tifo nel 1822, un evento che spezzerà quel barlume di serenità che il poeta aveva trovato con la compagna italiana.
Le vite dei due protagonisti del Romanticismo sarebbero rimaste legate da una tragica circostanza. Byron aderì alla Carboneria e dovette fuggire a Pisa dopo il fallimento dei moti del 1820-21, Shelley si trasferì nel 1822 a Lerici con Mary, nella baia che prenderà il nome di Golfo dei Poeti. In quell’anno Shelley decise di incontrare di nuovo l’amico a Livorno, per discutere la fondazione di una rivista. Partì così via mare, ma una tempesta lo sorprese e si persero le tracce della sua imbarcazione. Il corpo del poeta verrà ritrovato a Viareggio, dove sarà cremato. Aveva solo trent’anni e la leggenda vuole che il suo cuore sia sopravvissuto alle fiamme, conservato da Mary per tutta la vita.
Anche Byron si avviava verso un drammatico destino. Animato dai suoi ideali di rivolta contro l’oppressione, nel 1823 salutò Teresa e partì per la Grecia, per appoggiare la guerra di quel popolo contro l’Impero ottomano. Morì l’anno successivo a soli 36 anni, probabilmente di febbre reumatica, dopo aver partecipato alle lotte indipendentiste.
I due poeti scomparvero prematuramente, ma i loro nomi sono impressi nella storia della letteratura. Byron e Shelley vengono ricordati anche per la modernità che li distinse. Il primo è considerato una vera star ante litteram per l’influenza che esercitò sulla cultura dell’epoca, incarnando il personaggio dell’“eroe byroniano”. Shelley anticipò tematiche come il vegetarianesimo, il pacifismo e la protesta non violenta, sulle quali si soffermò nei suoi scritti.