Gli orecchini
di Virginia Torriani
Sono tra gli ornamenti più apprezzati; siano essi di preziosa gioielleria o di semplice bigiotteria gli orecchini piacciono a tutti: donne e uomini, giovani, anziani e persino bambini, che spesso reclamano con impazienza il primo foro alle orecchie.
L’origine di questi monili per altro è molto nobile e antica. I primi esemplari documentati risalgono addirittura al terzo millennio avanti Cristo: facevano parte del tesoro della regina Subad a Ur, in Mesopotamia. Nei secoli questi ornamenti si sono differenziati a seconda dell’ambiente e dell’epoca, divenendo cifra delle diverse oreficerie fino all’età romana, che vide il moltiplicarsi di varietà e di forme e l’incastonatura di pietre preziose. In epoca bizantina gli orecchini si fanno molto ricchi e pesanti: le produzioni più raffinate erano in oro e vantavano abbondanza di perle, paste vitree e smalti. Se in epoca medievale la severità dei costumi portò alla quasi totale eliminazione dei gioielli, nel Rinascimento questo monile e tutta l’arte orafa rinascono al pari delle altre arti, in un crescendo di popolarità, che perdura fino ai giorni nostri.
Del resto gli orecchini sono indossati in tutto il mondo e in alcune culture oltre che un’affermazione di prestigio personale sono considerati un rito di iniziazione sociale oppure al pari di un talismano propiziatorio.
I marinai e i pirati del secolo XIX ad esempio credevano che forare il lobo affinasse loro la vista: sfoggiavano quindi di frequente degli orecchini, sia per aggiudicarsi l’ambito posto di vedetta tra la ciurma di una nave, ma anche, scaramanticamente, come futuro compenso per chi, se fossero morti in mare, avesse seppellito il loro corpo restituito sulla spiaggia. Erano infatti convinti che se non avessero ricevuto degna sepoltura il loro spirito avrebbe vagato inquieto per l’eternità.
La diffusione dell’orecchino e la pratica della foratura come la conosciamo oggi si ha solo nella seconda metà del secolo scorso, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70. Si diffonde infatti in quest’epoca l’abitudine di forare i lobi alle bambine durante i primi mesi di vita.
Oggi si tende ad aspettare che il bambino abbia la capacità di decidere autonomamente se farsi forare le orecchie oppure no, anche per rispettarne la sua sensibilità: farsi bucare i lobi per alcuni può essere un semplice fastidio per altri un po’ più doloroso.
Certo come recita il proverbio: chi bello vuole apparire un poco deve soffrire. E sono sempre più le persone che in nome della moda sono disposte a soffrire un po’ di più: oltre al semplice foro centrale si possono infatti realizzare altri buchi vicini, così da sfoggiare monili coordinati, ma anche veri e propri piercing. Il più antico si rifà alla pratica di alcune tribù africane: si chiama gauging e consiste nell’ampliare il foro tramite l’uso di un divaricatore. Non mancano poi le possibilità di forare altri punti del padiglione auricolare come il trago, la piccola zona di cartilagine più vicina al volto, o lungo la cartilagine esterna.