Il body shaming, un fenomeno da combattere
di Ugo Cirilli
Può accadere che nei tecnologici, evoluti anni 2000, una persona sia ancora discriminata per il suo aspetto fisico?
La risposta purtroppo è affermativa. I nuovi strumenti web, come i social, possono perfino essere utilizzati per aggravare queste ingiustizie. Commenti vergognosi, veri atti di bullismo si trasformano in una gogna mediatica, con la persona colpita che può essere derisa, umiliata davanti a centinaia o migliaia di utenti di Internet.
La vessazione legata a caratteristiche fisiche è oggi indicata da un’espressione precisa, “body shaming”. Deridere qualcuno, appunto, per il suo corpo. Una volta tanto, la nostra lingua accoglie un anglicismo che non serve a darsi un’aria “cool”, ma etichetta una categoria di atti odiosi.
Parliamo di categoria, perché il body shaming colpisce praticamente qualsiasi aspetto della fisicità: inestetismi veri o presunti, o semplici particolarità. La vittima può essere considerata troppo sovrappeso o al contrario esile, poco atletica. Nel mirino delle provocazioni a volte finiscono anche aspetti non congeniti, come tatuaggi o piercing.
Sicuramente, questa tendenza discriminatoria è alimentata da modelli estetici diffusi in società, legati a un’idea di bellezza spesso artefatta. Ha suscitato scalpore, ad esempio, la scoperta che in alcune pubblicità l’aspetto delle modelle era stato ritoccato con Photoshop.
Un altro elemento critico è la massiccia esposizione in cui è facile incorrere nel web, anche senza essere una celebrity. Un account social, a meno che non sia privato, ci mette potenzialmente a contatto con una platea di utenti smisurata. Così, il bullo che scrive commenti pesanti sotto la foto di un compagno di classe, o lo riprende in un video deridendolo, può esporre la sua vittima alla derisione di altre persone.
Naturalmente il body shaming non avviene solo online. Molti casi di bullismo e discriminazione si verificano sicuramente nell’ambiente scolastico, nei gruppi di coetanei. Secondo alcune statistiche, tra gli adolescenti circa il 94 % delle femmine e il 65 % dei maschi è stato vittima almeno occasionalmente di body shaming.
Possiamo tuttavia pensare che online per un bullo sia più facile attaccare il prossimo. Manca quel contatto a tu per tu che può far scattare almeno un minimo di empatia.
Se Internet conferisce al fenomeno nuove declinazioni, il suo effetto di cassa di risonanza ha contribuito a metterne in luce la gravità, anche attraverso alcuni casi che hanno coinvolto personaggi famosi.
Proprio così: perfino i “VIP” che invidiamo possono ritrovarsi vittime del body shaming. Ad esempio, hanno ricevuto commenti molto sprezzanti le foto in costume dell’attrice americana Eva Longoria e dell’attrice italo-spagnola Vanessa Incontrada.
Se in quei casi gli attacchi riguardavano la forma fisica, un’altra vicenda dimostra la triste varietà del body shaming. È il caso della giornalista e inviata Rai Giovanna Botteri, criticata per l’aspetto dei suoi capelli durante un collegamento televisivo.
Il fenomeno non colpisce solo le donne. L’attore americano Jason Momoa ha ricevuto commenti velenosi per alcune foto che lo ritraevano in costume durante una vacanza italiana, un po’ meno atletico rispetto ai personaggi che ha interpretato (dal supereroe Aquaman a Khal Drogo e “Il Trono di Spade”).
A volte le personalità bersagliate hanno dato un esempio di fermezza, reagendo senza perdere la calma alle provocazioni. Giovanna Botteri, ad esempio, in una lettera aperta ha spiegato che le corrispondenti della BBC non subiscono attacchi simili, ma vengono giudicate semplicemente per la loro professionalità. Una mentalità che tutti dovrebbero assumere.
La cantante e attrice americana Selena Gomez, insultata online per un aumento di peso dovuto a problemi di salute, nel 2018 ha interrotto per un certo periodo la sua attività sui social, oltre ad aderire a campagne contro il bullismo.
Il caso di Beyoncè ci dice che al body shaming si può reagire perfino con la creatività: la hit delle Destiny’s Child “Bootylicious” è ispirata anche dal disagio sofferto dalla cantante, a 18 anni, per il suo fisico non proprio longilineo. La canzone suona come un invito pop ad accettare con gioia la propria fisicità, che può essere attraente anche se non risponde ai soliti canoni di bellezza.
Fortunatamente, qualcosa sta cambiando. Anche il mondo della moda ha iniziato a valorizzare la diversità e l’unicità di ogni individuo. Ad esempio Victoria’s Secret ha fatto sfilare al suo show la modella Winnie Harlow, vittima di bullismo in età scolare per la sua pelle colpita dalla vitiligine. Calvin Klein ha invece dedicato una campagna alle donne con taglia superiore alla 46. Il brand di prodotti abbronzanti Isle of Paradise, l’anno scorso, ha coinvolto in una pubblicità la beauty influencer disabile Tess Daly e la modella “oversize” Tess Holliday.
Segnali forti che lasciano sperare: in un futuro prossimo forse certi comportamenti inqualificabili saranno solo un ricordo.