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Franco Battiato, un cantautore dai mille mondi
di Ugo Cirilli
Solo i grandi artisti riescono a essere all’avanguardia e diretti, a lanciarsi nelle sperimentazioni ed emozionare un grande pubblico. Franco Battiato, scomparso di recente, era uno di loro. Gli esordi ricordano quelli di tanti aspiranti cantautori: l’arrivo nella grande città, i primi passi nella musica tra sogni e speranze.
Nato in provincia di Catania nel 1945, Battiato si era trasferito prima a Roma, poi a Milano. Nel capoluogo lombardo aveva deciso di dedicarsi completamente alla musica, lasciati gli studi. Gli inizi avvennero all’insegna di un sound leggero, quando pubblicò due cover di brani noti. Il Battiato di allora si esibiva nei locali con canzoni orecchiabili e, come raccontò con autoironia, “musica pseudobarocca, fintoetnica”. Il suo carisma iniziava però a trapelare, tanto da attirare l’attenzione del collega Giorgio Gaber. Tra i due nacque un rapporto d’amicizia e di collaborazione. Intanto Battiato iniziava le sue esplorazioni, passando dal pop alla canzone di protesta, per riabbracciare poi un filone romantico e stipulare un contratto con l’etichetta discografica Philips. E il singolo “È l’amore” divenne una hit che superò le 100.000 copie vendute. A questo punto, la strada poteva essere tracciata: il percorso di un artista che, dopo varie incarnazioni sonore, trova il successo con uno stile adatto al grande pubblico.
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Pochi anni dopo arrivò invece una rivoluzione: la pubblicazione di “Fetus”, un disco complesso e sperimentale tra elettronica d’avanguardia, cantautorato, prog-rock. Un oggetto alieno nel mondo musicale italiano, come il successivo “Pollution”. Anche i live di quel periodo divennero performance estreme, dove tutto poteva succedere tra suoni lancinanti e luci psichedeliche. Il pubblico a volte si faceva trascinare dall’esaltazione, in altri casi reagiva all’assalto sonoro con proteste e insulti, arrivando a danneggiare i locali. Il cantautore Angelo Branduardi ha ricordato un festival a Roma nel 1973, quando lui e Battiato si videro lanciare “bottiglie, lattine, zolle di terra”.
Un clima così esplosivo non poteva durare a lungo. Battiato entrò in crisi e chiuse quel capitolo. Ma il suo non fu un semplice ritorno al pop, quantomeno non al pop tradizionale. Avvenne una specie di alchimia: la fusione tra la sua vena d’avanguardia e quella più melodica e immediata. Un processo graduale, dapprima attraverso l’avvicinamento alla corrente new wave, un’elaborazione più raffinata di sonorità punk ed electropop. È la fase di dischi come “Patriots” del 1980, che rivela l’internazionalità e le svariate ispirazioni culturali dell’autore: troviamo un brano dal cantato in lingua araba, una canzone, “Passaggi a livello”, che cita Proust, riferimenti alla poesia… All’album partecipa anche l’amico violinista Giusto Pio, in un incontro tra linguaggi musicali diversi. Il disco ottiene un discreto successo e prepara il terreno al boom del successivo “La voce del padrone”, del 1981. Oltre un milione di copie vendute, un album che offre un perfetto mosaico dell’universo creativo di Franco Battiato, tra misticismo e osservazione sociale, contaminazioni tra sonorità diverse e letteratura.
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Nella tracklist brani che diverranno classici, dalla ritmata “Cuccurucucù” con le sue citazioni musicali a “Centro di gravità permanente”, che ci porta in un terreno filosofico a suon di melodia pop. Un approccio raffinato e al contempo diretto che il cantautore manterrà con successo anche negli anni ’90 e 2000. Un percorso che nel 1994 vide iniziare una singolare collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro: il loro sodalizio ha dato vita a liriche ispirate, dai riferimenti alla filosofia di Eraclito in “Di passaggio” ai sentimenti di “La cura”, una delle hit più famose del cantautore siciliano.
L’approfondimento delle dimensioni spirituali e filosofiche non adombrò mai lo spirito di critica sociale: basta pensare ad “Inneres Auge”, il brano del 2009 che esprimeva una forte condanna verso la cupidigia e la corruzione.
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Lo spessore culturale del percorso di Battiato lo portò a ricevere, nel 2003, la Medaglia ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Un prestigioso riconoscimento che non cambiò il suo atteggiamento semplice, di artista in cerca della pace interiore più che del clamore mediatico. Il giornalista Vincenzo Mollica, l’ultima volta che intervistò Battiato, gli chiese cosa avrebbe voluto che restasse di lui: “Un suono” rispose il cantautore “voglio che rimanga di me un suono”.
Di suoni ne sono rimasti tanti, e fanno vibrare corde profonde.