Squid Game: la serie cult del momento
di Ugo Cirilli
È la serie TV cult del momento, che contava già 111 milioni di visualizzazioni in vari Paesi a soli 28 giorni dal debutto: “Squid Game”, produzione sudcoreana scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, distribuita da Netflix.
Nove episodi che hanno conquistato schiere di fans, ma suscitato anche alcune critiche. Ma andiamo con ordine: di cosa parla “Squid Game”?
La trama si colloca tra il thriller, l’horror e la distopia, senza elementi fantascientifici: le vicende narrate ruotano attorno a un misterioso, letale gioco.

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Alcune persone in grandi difficoltà economiche ricevono l’invito a partecipare a una sfida di abilità a prove, con un enorme premio in denaro in palio.
455 partecipanti si ritrovano nel luogo indicato, dove scoprono di essere sorvegliati da guardie armate. Alla prima gara, una sorta di “Un due tre stella” guidato da un grande robot, si scopre la natura agghiacciante della competizione: chi perde può morire e alcuni concorrenti cadono raggiunti da proiettili.
Tra i partecipanti si scatena il panico: qualcuno chiede di abbandonare il gioco, altri scelgono di proseguire attratti dal premio. Uno di loro si rivolge alla polizia; l’unico a credergli è un detective il cui fratello era stato invitato alla sfida, scomparendo nel nulla.
La serie segue i concorrenti in gara, contrapposti tra il desiderio di vincere (a costo di veder morire i compagni) e gli inattesi, improvvisi legami che si creano nel gruppo.
La trama si focalizza su alcuni personaggi, sulle storie di povertà e disperazione che li hanno condotti a cimentarsi nel gioco estremo: dal pakistano Ali Abdul, rimasto senza lavoro, alla profuga Kang Sae-byeok e a Seong Gi-hun, travolto dai debiti.
Le sfide hanno un lato apparentemente giocoso, ispirate anche da passatempi infantili: lo “squid game” (“il gioco del camalaro”) che dà il titolo alla serie è molto famoso in Corea del Sud e prevede di muoversi lungo un tracciato, divisi tra “attaccanti” che cercano di completare il percorso e “difensori” che li ostacolano.
Ma tutto è estremizzato in una gara mortale, i concorrenti tenuti sotto tiro ed esposti a trappole varie, la sopravvivenza sempre a rischio.
La violenza della serie è all’origine delle critiche, dovute anche a episodi di bullismo messi in atto da ragazzini che si ispiravano ai “giochi”.
Eventi accaduti anche in alcune scuole italiane, tanto che nel nostro Paese è stata lanciata una petizione per fermare “Squid Game”.
A proporla è la Fondazione Carolina, ONLUS dedicata a Carolina Picchio, prima vittima del cyberbullismo in Italia.
Il problema, in realtà, è innanzitutto nella fruizione: “Squid Game” è vietata ai minori di 14 anni. Non tutti i genitori prestano però la necessaria attenzione, inoltre alcuni spezzoni della serie circolano sui social.
Appurato che il prodotto non è concepito per i più giovani, rimane la questione controversa della rappresentazione della violenza.
Sulla vicenda si sono espressi intellettuali, giornalisti e studiosi, con posizioni diverse. La psicoterapeuta e scrittrice Anna Oliverio Ferraris ha sottolineato soprattutto i rischi di emulazione.
Per il giornalista e critico televisivo Aldo Grasso, invece, “Squid Game” utilizza la sua lente surreale per affrontare tematiche attuali, dalle diseguaglianze sociali alla cultura dell’intrattenimento sfrenato.
Una visione confermata in parte dallo stesso regista, Hwang Dong-hyuk, intervistato dal Guardian: la serie, ha spiegato, trasmette un messaggio sul capitalismo moderno in cui alcune persone, a causa delle disparità, lottano per la sopravvivenza.
Il dibattito prosegue, mentre circolano i primi “rumours” sull’arrivo di una seconda stagione. L’attore Lee Jun-jae ha dichiarato che il ritorno di Squid Game sarà “in un certo senso inevitabile”, visto il successo.