11 novembre 1821 nasceva Fëdor Dostoevskij
di Ugo Cirilli
Duecento anni fa nasceva a Mosca uno dei più celebri e apprezzati scrittori russi di ogni tempo: Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
La sua famiglia d’origine era benestante, ma lo attendeva un avvenire tutt’altro che semplice.
Nel 1837 il futuro scrittore perse la madre a causa della tisi. Nel 1839 morì anche il padre, proprietario terriero, assassinato probabilmente dai suoi contadini esasperati per i maltrattamenti subiti.
Questo trauma scatenò in Fëdor il primo attacco di epilessia, un problema che lo avrebbe perseguitato per tutta la vita.
Tra tante sofferenze, il giovane trovava conforto in una grande passione per i libri e la scrittura.
Arruolato nell’esercito, di notte lavorava come traduttore occupandosi anche delle opere di Balzac e Schiller.
A soli 25 anni riesce a pubblicare il suo primo romanzo, “Povera gente”: un successo notevole apprezzato anche dalla critica del tempo.
Per Dostoevskij, che per la scarsa capacità di gestire le finanze aveva conosciuto situazioni d’indigenza come quelle che narra, sembra che la vita inizi a sorridere.
Abbandonata definitivamente la carriera militare, inizia a collaborare con varie riviste e pubblica a breve altri due romanzi.
Ma il destino ha in serbo un altro colpo basso. Lo scrittore, interessato al dibattito culturale e politico, partecipa alle riunioni del circolo di Petrasevskij, un giurista che condivide le idee del filosofo Charles Fourier sulla società ideale.
Nel 1849 il gruppo, che si riuniva ogni venerdì per discutere di politica, viene arrestato con l’accusa di attività cospiratoria.
Tutti i componenti, compreso Dostoevskij, vengono condannati a morte. Giunti davanti al plotone di esecuzione, però, giunge una comunicazione: lo zar ha commutato la pena nell’esilio ai lavori forzati in Siberia.
La crudele messinscena è l’inizio di quattro anni durissimi, in cui lo scrittore soffrirà e ascolterà le storie di disperazione e crimine di altri esiliati.
Seguiranno anni di arruolamento forzato nell’esercito; quando Dostoevskij tornerà libero nel 1859 apparirà quasi l’ombra di se stesso, provato nel fisico e apparentemente privo della scintilla di passione e creatività iniziale.
Ma l’ispirazione non lo ha mai abbandonato davvero; anche negli stenti del campo di lavoro, è riuscito a scrivere uno dei suoi romanzi più cupi: “Memorie dalla casa dei morti”, quasi un racconto autobiografico del periodo.
Dagli anni di dolore, però, Dostoevskij portava con sé anche un’amicizia: quella con il giovane procuratore Alexander Von Wrangel, che si occupava di affari statali e penali nel distretto di Semipalatinsk dove lo scrittore era stato inviato come militare.
Di conversazione in conversazione, tra i due era nato un rapporto di confidenza che superava le differenze dovute ai rispettivi ruoli.
Von Wrangel incoraggia Fëdor a non abbandonare la scrittura, lo aiuta a risollevarsi dal trauma della finta condanna a morte e dell’esilio.
È lui a intercedere perché all’amico sia finalmente concesso, dopo anni, di tornare a casa.
Così, lo scrittore di nuovo libero riprende presto le sue attività, pubblicando riviste e nuovi romanzi.
Tra questi troviamo “Delitto e castigo” del 1866, una delle opere tuttora più celebri di Dostoevskij. Narra la vicenda di Raskòl’nikov, uno studente che uccide un’anziana usuraia convinto che l’azione sia pienamente giustificata.
Preda di rimorsi atroci, inizia a capire che il suo gesto non ha nulla di eroico. Grazie all’incontro con Sonja, una prostituta che mantiene un animo puro, inizia a maturare l’idea di costituirsi.
Tra le righe incontriamo temi cari all’autore come la carità, la colpa, l’espiazione. E la forza dell’amore, che lui stesso ritrovava in quel periodo con la stenografa Anna, che avrebbe sposato.
Seguiranno altri romanzi sorprendenti come “L’idiota”, dove il personaggio del principe Miškin pronuncia la celebre frase “La bellezza salverà il mondo”, e “I demoni”.
Dostoevskij si libera di un vizio che l’aveva perseguitato a lungo, il gioco; riesce a ripagare i suoi debiti, è un autore di successo, ma nel 1879 gli viene diagnosticato un enfisema polmonare.
Nello stesso anno pubblica il suo ultimo romanzo, altra pietra miliare della sua produzione: “I fratelli Karamazov”, un compendio di tematiche che vanno dalla moralità al perdono e al libero arbitrio.
Due anni dopo lo scrittore scompare per un aggravamento della malattia. Le sue opere entrano nella storia della letteratura, con le loro trame evocative e dense di tensione tra colpa e redenzione, disperazione e speranza. Quella speranza che forse non abbandonò mai, sempre pronto a risollevarsi dai drammi della vita.