Alla scoperta del tempio di Ta Prohm in Cambogia
Un luogo ricco di storia ed estremamente suggestivo, dove calarsi e respirare tutta l’atmosfera mistica dell’Oriente in unione con il fascino sacro della Natura: stiamo parlando del tempio di Ta Prohm, parte del sito archeologico di Angkor, il più importante della Cambogia.
Le dimensioni di quest’area archeologica sono impressionanti: 400 chilometri quadrati, dove sorgevano centinaia di templi sacri sia induisti che buddisti. Oggi, per le vicende politiche del paese, la giungla e il tempo sono quasi tutti in rovina, ma ne restano ancora in piedi circa un’ottantina. Questi rappresentano una meravigliosa testimonianza della civiltà dell’impero Kmer, che per circa 600 anni (802-1431) governò il vasto territorio che dalla Cambogia si estendeva fino alla Thailandia, al Laos e al Vietnam meridionale.
Il visitatore che entra nel parco archeologico risalente alla fine del XII secolo non può non avvertire un senso di stupore e smarrimento, tale a quello che devono aver provato i primi esploratori che scoprirono questi resti.
Fusi in abbraccio con la giungla, i templi qui si intrecciano con alberi enormi, torri e antiche mura sono assaltate da piante rampicanti, il colore delle pietre emerge nell’abbagliante verde che lo circonda, dimostrando quanto sia effimera la gloria degli uomini rispetto alla forza della natura.
Ta Prohm è il tempio più importante del parco e dell’intera Cambogia ed è rimasto nelle stesse condizioni in cui è stato trovato.
Fu uno dei primi templi fondati dal re Jayavarman VII nel 1186 d.C. e faceva parte del suo grandioso programma di regno, che prevedeva la costruzione di molti edifici e diversi lavori pubblici.
Il nome moderno del tempio significa “vecchio Brahma”, ma il nome originario era Rajavihara – ovvero “tempio reale” – ed era dedicato alla venerazione della famiglia reale del monarca. Non a caso l’immagine principale del tempio, che rappresenta Prajnaparamita, la personificazione della saggezza, è stata modellata su quella della madre del re, mentre i due templi satellite nella terza recinzione erano dedicati al suo guru (quello a nord) e al suo fratello maggiore (quello a sud).
Vari ampliamenti ed aggiunte alla struttura continuarono anche in seguito, fino alla fine del XV secolo.
Sulla stele del tempio viene indicato che il sito era abitato da più di 12.000 persone, fino ad arrivare a 80.000 persone se si considerano anche coloro che abitavano nei villaggi circostanti ed è per questo motivo che il tempio riuscì a concentrare una grande quantità di ricchezze, come oro, perle e sete preziose.
Lo schema di base del tempio è quello “piatto” del tipico tempio Khmer, con cinque recinzioni rettangolari intorno al santuario centrale.
Il muro più esterno di 1000 metri per 650, racchiude un’area che avrebbe potuto contenere tranquillamente una città, ma che oggi è occupata principalmente dalla foresta. Ci sono dei gopura, cioè degli ingressi, in ciascun punto cardinale, sebbene oggi l’accesso sia possibile solo dall’ingresso orientale e da quello occidentale. Ogni ingresso ha a sua volta una torre a forma di viso, molto simile a quelle del tempio Bayon, sempre nel sito di Angkor. In passato c’erano anche dei fossati pieni d’acqua all’esterno della quarta recinzione.
A differenza di altri templi cambogiani, Ta Prohm non ha molti bassorilievi narrativi. Una spiegazione a questo proposito è che gran parte dell’opera d’arte originaria del tempio era legata al buddismo e quindi si ritiene che possa essere stata distrutta dagli iconoclasti indù dopo la morte del re Jayavarman VII. Ad ogni modo, rimangono ancora visibili alcune rappresentazioni di scene della mitologia buddista, come un bassorilievo gravemente eroso che illustra la “Grande Partenza” di Siddhartha, il futuro Buddha, dal palazzo di suo padre. Il tempio presenta anche rilievi in pietra di devata (divinità femminili minori), monaci, asceti meditanti e dvarapalas – i cosiddetti guardiani del tempio, armati di lance e bastoni. Tra i resti dei bassorilievi se ne trova uno che sembra assomigliare ad uno stegosauro, un dinosauro vissuto molto prima della civiltà e del tempio stesso: questo è un argomento ad oggi oggetto di dibattito tra chi sostiene sia un mistero e chi invece pensa sia in realtà un rinoceronte o un cinghiale e quindi solo un errore di interpretazione figurativa.
Sono gli alberi che crescono sopra le rovine la caratteristica principale che contraddistingue il tempio per l’odierno visitatore. Ta Prohm fu infatti abbandonato verso la fine del XV secolo, e quindi dimenticato, come tutti gli altri templi di Angkor. Solo nella seconda meta del XIX secolo la città perduta nella giungla fu riscoperta e agli inizi del XX secolo, durante la dominazione francese, quando fu iniziato il restauro e lo studio dei monumenti di Angkor, l’Ecole française d’Extreme–Orient decise di lasciare Ta Prohm nello stesso stato o quasi, in cui era stato trovato, come “concessione al gusto generale per il pittoresco” e perché era “uno dei templi più imponenti e quello meglio fuso con la giungla, ma non ancora al punto di diventare parte di essa”.
Lo stato di abbandono del tempio è quindi solo apparente: molto lavoro è stato fatto per stabilizzare le rovine e preservare in ogni caso l’unicità del luogo.